mercoledì 23 aprile 2014

Rivendicazione di sé

            

Silenzio adesso, dentro al piccolo cortile polveroso sul retro della palazzina degli uffici. Un luogo praticamente abbandonato, uno spicchio di mondo senza padroni, ideale per farci scoppiare quella piccola bomba dimostrativa, magari, così come è successo, durante una notte qualsiasi, ad un’ora quando nessuno avrebbe mai potuto essere lì a farsi del male. Ma se accade nell’oscurità, al mattino tutto sembra già un po’ più chiaro, ed i vetri alle finestre appaiono tutti spaccati, qualche calcinaccio peraltro è anche caduto qua e là, e la confusione tra gli impiegati dell'amministrazione si è subito dimostrata notevole, e la folla per strada a parlare di questo e di quest'altro, e le forze dell'ordine pronte a dare un risalto speciale a tutta quella faccenda.
Gli inquirenti naturalmente subito pronti ad indagare, e forse interrogheranno chiunque, dice qualcuno, ma io non do retta a tutte queste voci, lascio correre le cose come ho fatto sempre, restando come indifferente rispetto a tutta quanta la storia dei dinamitardi. Si dice con insistenza di una persona che conosceva bene la zona, di qualcuno che voleva fare mostra di sé, scollegato da gruppi e da organizzazioni, difatti non c'è neanche stata una pur pallida rivendicazione. Ancora commenti, per strada, ed ipotesi, ed altri giorni trascorsi a rincorrere un fantasma praticamente imprendibile, inclassificabile, un irregolare, si dice, e forse questo sembra già un elemento molto azzeccato. Poi il niente, i vetri subito riparati, gli impiegati tornati in fretta al lavoro, il cortile ripulito e risistemato quasi nella stessa maniera di com’era prima, riconsegnato al silenzio e all'immobilità che sempre lo ha contraddistinto.
Non c'è senso in una cosa del genere, spiegano al caffè sulla piazza. Perché mai devastare l'andamento monotono e regolare di tutte queste cose, perché minare un'istituzione amministrativa che non fa male a nessuno, che prosegue soltanto a portare avanti le pratiche di tutti come ha sempre fatto. Poi la calma, poco per volta, giorno dopo giorno, ed io che cerco qualcuno per strada che abbia voglia di parlare ancora di tutta la faccenda, fino a spingermi al caffè, tra la gente comune che ha già ripreso a dialogare del più e del meno, e di argomenti insulsi e infruttuosi, come risulta abituata a fare da sempre, senza mai stancarsi di questo.
Così mi arrabbio, qualcosa ci deve pur essere che sta covando sotto tutta questa cenere, dico forte, qualcuno che ha avuto voglia di rompere in questa maniera gli equilibri di sempre; ci deve essere per forza, ripeto più volte sempre a voce alta. In pochi però hanno ormai voglia di parlarne, i più hanno la volontà di voltare per sempre questa pagina, e dimenticare in fretta tutta la storia. Non è possibile, penso agitatissimo: pochi giorni, poche settimane, e tutto è definitivamente finito, come non fosse mai successo un bel niente.
Allora prendo e vado nella palazzina degli uffici, dico che ci sono dei notevoli sviluppi in atto, che dovremo aspettare altri gesti, altre risoluzioni come quella bomba, è inevitabile, dico, sarà così sicuramente. Nessuno mi dà relazione oltre la semplice curiosità, così vado a casa, scrivo qualcosa sopra un foglio di carta, compilandolo come fosse un volantino rivendicativo, qualcosa di forte e pauroso, e poi torno alla svelta fin dentro gli uffici dell'amministrazione. Ecco la prova, dico, era appoggiato sul muro, poco lontano da qui, adesso dobbiamo prepararci, cambiare molte delle cose già in atto, prendere tutto sul serio, guardarsi attorno, perbacco.
Infine mi fanno arrestare, penso anche io fosse ormai inevitabile, ma in questura non ascolto nessuno, e non mi interessa neppure sapere se è per la bomba oppure per il volantino di rivendicazione. Sono diverso da loro, adesso, dentro la gabbia: questa la cosa importante.


Bruno Magnolfi

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