Lo so già, lo so per certo, senza neppure avere fatto delle analisi o degli
specifici controlli, che coltivo dentro di me una brutta malattia, qualcosa che
mi renderà sempre più dipendente dagli altri, e che addirittura mi lascerà poco
per volta privo, quasi per una lenta tortura, persino di me stesso e della mia
dignità. Per questo fingo di star bene, cammino e mi muovo come sempre, anche
se provo dei forti dolori, nei muscoli e nelle ossa, che credo non stiano ad
indicare niente di buono. Non penso
permetterò neppure che nel prossimo periodo qualcuno mi curi: preferisco
sopportare tutto quanto mi succede, almeno fino a quando potrò resistere,
evitando alla fine spese inutili e soprattutto false speranze per me e per chi
mi sta vicino.
Però mi sto già preparando a quello che dovrà inevitabilmente avvenire, e
allora in questo lasso di tempo cerco delle mie cose di non lasciare mai niente
in sospeso, e poi tento naturalmente di essere più buono e comprensivo verso
tutti gli altri, cercando siprattutto di concedere minore importanza a quelle
faccende ordinarie che un tempo mi sembravano addirittura fondamentali, tanto
da puntare i piedi e farmi lottare con tutta la volontà che avevo: piccole
sciocchezze, penso adesso, inezie delle quali in questo momento posso solo
ritrovarmi a sorridere.
Appena giungo a casa mi accascio, non ho più la forza di far niente, e
sento che la mia esistenza è in mano a qualcosa di cui mi sfugge il senso, il
fine ultimo. Perché credo di avere ancora molte cose di cui occuparmi,
esprimere ancora molte idee che forse possono essere decisamente utili agli
altri, capaci di dare una spinta verso i cambiamenti di cui da qualsiasi parte
si sente con evidenza la necessità. Però so bene che tutto quanto ciò che
potrei intraprendere nell’immediato futuro, sarebbe inevitabilmente destinato a
restare incompiuto, lo penso quasi con un eccesso di realismo, per cui mi
limito a spiegare a qualcuno le cose che sarebbe possibile fare da qui in
avanti, quali elementi coltivare più di altri, e quale sia secondo me la strada
migliore da intraprendere.
A dire la verità non ho trovato fino adesso molte persone che abbiano
seguito particolarmente le cose che cerco di dire loro, ma ciò non toglie che
continui a perseguire la mia strada e anche le mie asserite convinzioni. Certo,
non posso neppure scoprirmi troppo, mostrare per esempio una saggezza che
ultimamente sento di iniziare a possedere probabilmente proprio per queste mie
condizioni, ma che potrebbe subito venire scambiata per puro egocentrismo. Così
abbasso la testa, lascio che i giorni proseguano, mi rassegno poco per volta alla
mia condizione inevitabile.
Poi metto male un piede camminando, faccio qualche passo affrettato
cercando di riprendere l’equilibrio, ma vado a cadere in malo modo, sbattendo
sgarbatamente a terra una mano che subito si insanguina. Qualcuno mi soccorre,
ma sento forti dolori da ogni parte, e intanto cercano di rimettermi in piedi,
di aiutarmi, anche se dico subito ai presenti che non ha alcuna importanza, e
che ormai è venuto il mio momento, lo dico in due parole, anche se stringo i
denti per la sofferenza. Qualcuno chiama un’ambulanza, io mi rannicchio a terra
nel minimo dello spazio, non vorrei dare fastidio, e quando alzo lo sguardo
vedo che tutti intorno continuano a guardarmi, e qualcuno sembra addirittura ridere,
forse prendono come uno scherzo tutto quello che mi sta accadendo, penso.
Morirò, dico loro con forza; ma mi accorgo subito che nessuno mi dà retta.
Bruno Magnolfi
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