Il dolore sottile a tratti sembra pulsare sotto la sua pelle sporca. Il
ragazzo a terra adesso neppure si lamenta, aspetta soltanto che accada qualcosa
di positivo, come una mano magica che improvvisamente lo sollevi da quella
posizione, e forse lo rimetta in sella alla sua bicicletta, fino a che tutto
torni com’era stato appena un attimo prima. Forse non è niente di grave, pensa
intensamente, forse tutto è ancora facilmente rimediabile. Sta fermo, immobile,
ma in fretta giunge dentro di sé la più forte disperazione: sicuramente non
potrà mai più camminare come prima, dovrà passare lunghi periodi di
ospedalizzazione, forse si susseguiranno delle operazioni chirurgiche sul suo
corpo, e tutto per una stupida caduta.
Il ragazzo affonda il viso in una mano, si sente quasi perduto, ma poi
riflette che non dovrebbe pensare soltanto a se stesso, e chissà quanti altri
ragazzi della sua stessa età hanno subìto una situazione del genere, o magari
anche peggio, bisogna essere forti, si dice. Però ci sono i suoi genitori che
soffriranno per lui: è ben chiaro, lo aiuteranno per quanto sia possibile nel
lungo decorso del tutto inevitabile, ma in loro ristagnerà per chissà quanto
tempo una pena inalienabile, che a lui certe sere sembrerà di non poter
sopportare, quasi come la stessa esistenza trascorsa d’ora in avanti a
trascinare una gamba, e a non essere mai più quello che era stato una volta. Se
ci pensa gli pare adesso incredibile essersi andato ad infilare per quel viottolo
sassoso, così, da solo, soltanto per il semplice gusto di vedere dove lo
avrebbe portato.
Stava bene, era contento appena un attimo fa, tutto sembrava perfetto per
quella pedalata nel sole, a caccia di qualcosa da vedere, di cui rendersi
conto. Adesso, sforzandosi, riesce anche andare a ritroso in tutti i dettagli,
fino proprio al momento di uscire da casa, quando aveva messo ai piedi le
scarpe da ginnastica, aveva inforcato la sua bicicletta e via, a pedalare senza
preoccuparsi di nulla. Perché qualcosa non lo ha trattenuto, pensa ora; perché
non si è messo in garage ad ingrassare il cambio e la catena della sua
bicicletta, come peraltro aveva deciso di fare per quel pomeriggio. Che senso
ha tutto questo, riflette ancora, che se ne faranno mai gli altri di uno come
me, ridotto così, in uno stato a dir poco pietoso.
Poi pensa a qualcuno che passando da lì potrebbe soccorrerlo, ma subito
dopo allontana dai suoi pensieri affannosi quel momento, come se le parole e lo
sguardo di qualche sconosciuto fossero la prova definitiva che è successo
proprio a lui tutto quanto, e che non è un incubo o la sua fantasia galoppante:
sta succedendo davvero, è proprio lui quello a terra, che sta subendo tutto
quanto il disastro. Allora si osserva attorno, si solleva leggermente facendo
forza sulle sue braccia, si siede sui sassi, sente i graffi sui gomiti e alle
mani, poi con coraggio muove una gamba, poi anche l’altra. La bicicletta è lì
accanto, non sembra neppure troppo rovinata. Infine prova a rialzarsi,
inizialmente i dolori sono forti, forse avrà lividi da tutte le parti, pensa,
ma alla fine riesce a mettersi in piedi: non è andata male, sono intero, pensa,
è tutto molto meglio di quanto avevo previsto.
Arriva un passante, lo guarda senza avere niente da dire, si avvicina con
calma al semplice ritmo della sua passeggiata. È in quel momento che il ragazzo
comincia a ridere; guarda l'espressione meravigliata dell’uomo vicino e ride
ancora di più. Continua a ridere quasi senza potersi fermare, mentre l’altro lo
prende forse per uno svitato. Poi gli viene improvvisamente da piangere, per
sé, per tutti gli altri, non lo sa neanche lui. Guarda ancora quell’uomo che
adesso si è fermato davanti, forse vorrebbe addirittura abbracciarlo, mentre le
lacrime gli scorrono lungo le guance, magari vorrebbe dirgli qualcosa, spiegare
cosa è successo, ma in fondo non ha alcuna importanza: va bene così.
Bruno Magnolfi
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