venerdì 22 gennaio 2016

Nessun desiderio.


Seduto, senza più alcuna voglia di risollevare le proprie sorti, fermo dentro al silenzio, sembra quasi lui possa stare così per un tempo addirittura lunghissimo, come se in natura non esistesse neppure un motivo plausibile per cambiare qualcosa di questa semplice immobilità appagante e praticamente infinita. Sfumati rumori fuori dalle finestre mostrano a tratti un senso vago di prosecuzione distante di tutte le cose, eppure ciò che conta, alla fine dei tanti pensieri che rotolano senza controllo, è solamente questo ovattato e pressante desiderio di niente.
Marco Ferrario in certi giorni cerca di evitare persino ogni ordinaria riflessione, lasciando abbassare, per un naturale comportamento, le palpebre dei suoi occhi esattamente nell’attimo in cui la sonnolenza si fa davvero persino troppo forte, comprendendo benissimo quanto purtroppo le immagini della propria fantasia lo portino subito verso strade terribilmente complesse, intricate, feconde di un passato incoerente mal reinterpretato e disuguale di ciò che la sua memoria, senza questi momenti da niente, potrebbe probabilmente proporre.
Non c’è niente da ricordare, dice certe volte a qualcuno ripetendolo caparbiamente anche fra sé. Gli viene servita alla solita ora la sua desiderata tisana appena tiepida, proprio come lui la preferisce, e dal tavolo dove è stata appoggiata ne raccoglie di buon grado la tazza, ringraziando naturalmente chi la offre, anche se in sostanza il suo sguardo, identicamente in tutto quel tempo, resta volto ad osservare avanti a sé soltanto qualcosa di impalpabile. Non c’è niente da proporre, prosegue a pensare, se non questa mia presenza per tutti snervante ed apatica, senza alcuna ulteriore definizione di sorta. Qualcuno lo chiama dal corridoio, Ferrario riconosce forse il tono di voce, lentamente si volta e saluta con un cenno uno dei suoi conoscenti che cerca in certe giornate di frequentare di più. Come va oggi, chiede quello usando l’espressione dell’esatta retorica che pone, e lui mostra soltanto il leggerissimo sorriso di chi apprezza indubbiamente quella domanda, ritenendo però del tutto inutile e addirittura scontata la risposta da dare.
Il pomeriggio sprofonda in una serata monotona e pressappoco uguale a qualsiasi altra, con delle variazioni di luce nell’aria che si materializza come un’aureola attorno alle chiome degli alberi fuori dai vetri, e nel corso dei minuti sempre più angusta ed impercettibile. Nel salone dove sta posizionata la sua carrozzella a quell’ora c'è sempre abbastanza silenzio, almeno fino a quando gli altri anziani del centro si trattengono tutti a chiacchierare delle medesime cose nelle salette da gioco che rimangono attigue. Con una mano allora Marco Ferrario sposta leggermente appena una ruota della comoda sedia su cui passa il giorno, e d’improvviso immagina la sua assenza come una veloce dimenticanza che può essere presto superata, tanto che adesso senza neppure pensarci decide di muoversi, naturalmente non visto, e di percorrere il lucido pavimento di fronte a sé per andarsi infine a rinchiudere, quasi per un auto castigo, dentro un piccolo e buio stanzino di servizio. Lo cercheranno, suppone; anzi, sarà senz’altro così, ma probabilmente questo non avverrà prima dell'ora di cena, quindi ne dovrà trascorrere là dentro ancora parecchio di tempo, ed è comunque quasi certo che nessuno almeno fino a quel momento si preoccuperà neppure un briciolo di questa sua assurda assenza: sarà nascosto da qualche parte da solo, si dirà sottovoce tra i corridoi, d'altronde da uno così non c'è da aspettarsi che questo.


Bruno Magnolfi

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