Sono
a terra, dice lei. Edo resta fermo a guardarla appena per un secondo, giusto un
attimo prima di cambiare canale, poi però gli suona il telefono. Niente di
speciale, una raccomandazione per il lavoro di domani da un suo collega, così
con una scusa riattacca abbastanza velocemente, sentendosi a disagio, e poi la
segue con calma e gli occhi bassi fino in cucina. Mi pare di aver perso la
bussola, gli spiega lei semplicemente, senza neppure voltarsi. Lui resta in
silenzio, gli pare assolutamente egoistico abbracciarla adesso, o farla sentire
in qualche modo protetta con dei gesti piuttosto scontati. Così si limita a continuare
a guardarla, restando in silenzio, anche se con tutto se stesso e con sincerità
vorrebbe essere altrove, magari a ridere con gli amici di stupide battute senza
alcun impegno e che non fanno neanche troppo pensare. Invece sta lì, insieme a
lei, ed adesso probabilmente deve inventarsi anche qualcosa, trovare una frase
o la parola giusta che possa distogliere l’interesse della sua donna da quel
tema penoso.
Va
bene, le dice di slancio: stasera si esce, si va fuori a cena, poi anche al
cinema, dove vuoi tu, possiamo invitare qualcuno dei tuoi amici, parlare di
tutto quello che vuoi, e tornare a casa tardi come sempre, distrutti dalle
risate e dall’esserci dimenticati di qualsiasi apprensione. No, Edo, non questa
sera, fa lei. Lui vorrebbe annullare tutte quelle parole ed essere di nuovo lì,
davanti alla sua televisione, a seguire un qualsiasi programma, anche senza
grande interesse; ma non lo può fare, e per questo si sente a disagio, non
riesce a pensare un bel niente, se non a quelle parole dette da lei, che gli
provocano soltanto uno schifo naturale, tanto che non vorrebbe mai più
sentirle.
Esco,
fa lei d’improvviso; devo camminare da sola e respirare un poco di aria fresca,
nient’altro, non preoccuparti per me. Lui non dice niente, ne segue i movimenti
ma senza riuscire a guardarla in modo diretto. Lascia che lei si metta il
giubbotto, che apra la porta, gli getti un’occhiata e poi se la chiuda alle
spalle, tornando dopo un attimo, una volta da solo, a riaccendere la fida televisione.
Le passerà, riflette, la mia disponibilità naturalmente c'è tutta, si tratta di
capire di cosa effettivamente abbia bisogno. Dopo mezz'ora lei torna, la
medesima espressione di prima, va in bagno, forse a piangere un po', infine
torna, Edo la segue in silenzio con gli occhi, seduto sopra al divano. Non è
colpa tua, fa lei; ma io non sopporto più questo trascinarci da un giorno
all'altro con i medesimi gesti, la stessa inutilità delle parole che usiamo.
Lui vorrebbe spengere di nuovo la televisione, ma siccome gli parrebbe di dare
troppa importanza a quegli argomenti, la lascia accesa, limitandosi ad
abbassare il volume e a non guardarne lo schermo.
Devo
andarmene, fa lei, almeno per un breve periodo. Ma come, pensa Edo, non
dovevamo affrontare insieme le cose? Lui si alza, va in cucina e poi torna con
una lattina di birra, quindi si siede sopra un bracciolo, dice soltanto che gli
pare tutto vagamente assurdo. Lei lo guarda dritto dentro gli occhi: non siamo
uguali, gli dice; viaggiamo con velocità differenti, forse dovremo studiare un
metodo per compensarci. Edo abbassa lo sguardo, gli piacerebbe suonasse il
telefono in questo momento, o almeno giungesse un messaggio, perché quel
silenzio gli sembra estenuante. Come vuoi, le dice alla fine, con un groppo
alla gola; tanto puoi sempre trovarmi qui, ad aspettarti.
Bruno Magnolfi
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