Sono qua, urlo contro la facciata posteriore del
condominio, impiegando tutta la voce che riesco a trovare in fondo al mio
respiro. Qualcuno subito si affaccia alla finestra, altri ancora ai terrazzini,
ed in certi casi parecchi mi osservano scansando lentamente con la mano quei
panni vistosi sistemati sui fili e sopra gli stendini ad asciugare. Li guardo a
mia volta, immobile per alcuni lunghi momenti; quasi tutti sanno benissimo chi
sono, e forse qualcuno di loro mi teme, penso, per questo è portato ad evitarmi
per la maggior parte delle volte, specialmente quando passeggio per i fatti
miei, lungo la strada del quartiere, scegliendo quasi sempre di tenermi
inevitabilmente un po’ a distanza. Non ne sono addolorato, è evidente: per me questa
gente può persino maledirmi, se proprio lo desidera, che tanto io non mi
allontano facilmente da questo cortile dove tutti stanno alla finestra e
possono spiarmi. Non mi conoscono, ecco il punto. Perché dovrebbero sapere che se
voglio riesco a tenerli sotto scacco, nonostante tutto. Urlo in faccia a loro
la verità, ecco, proprio quello che penso e anche quando ne ho voglia, e tutti in
questo modo sono nel mio pugno, ed io posso fare di loro praticamente ciò che
voglio.
Siete soltanto delle pecore, dico ancora ma con voce un
po’ più bassa. Ormai in diversi sono già rientrati, anche se hanno ormai
compreso perfettamente cosa intendo dire questa sera; e gli altri, proprio per
questo, non mi concedono più molta importanza. Nel cortile sono solo, a
quest’ora stanno tutti nei loro appartamenti, potrei far scoppiare una bomba, rifletto,
mostrare di che pasta sono fatto, ma è già sufficiente che sappiano che sono
qui, pronto, senza alcuna soggezione. Torno ad infilare le mani dentro le
tasche, mi volto, c'è una ragazza che viene verso di me. Si ferma a due metri,
dice: se vuoi possiamo parlare. Parlare, penso, e di che cosa? Non sono
abituato, se devo dire qualcosa riesco solo a dirla urlando. Facciamo due passi
insieme, mi fa: puoi spiegarmi perché c'è l'hai sempre con tutti.
Non saprei proprio cosa risponderle, penso, e tutta
questa importanza mi mette soltanto un po’ a disagio. Alzo le spalle, mi volto,
ma lei mi tocca un braccio, dice che è sicura che non farei mai del male ad
anima viva. La lascio dire, cosa mi importa di quello che crede, sto da solo in
questo cortile, anche se fosse pieno di gente. Sono qui, urlo di nuovo improvvisamente
al condominio, ma adesso non si affaccia più quasi nessuno, ognuno di loro
continua a mandare avanti le proprie solite sciocchezze, e alla fine si
disinteressa di tutto quanto il resto. C'è un muretto lì accanto, la ragazza si
siede e mi invita con un gesto a mettermi proprio li, accanto a lei. Dice subito
che anche a lei non piace questo condominio, così ordinario, scontato, fatto di
gente noiosa e anche un po' triste. Hai ragione, penso, ma io soprattutto li
odio, perché sono tutti soltanto dei vigliacchi.
Lei dice che potremmo fissare un appuntamento, vedersi
tutti i giorni proprio in quel punto, alla stessa ora, e così imparare poco per
volta a conoscersi un po’ meglio. Va bene, penso, in fondo non mi costa niente,
posso stare qui con lei, pensare quello che voglio, urlare se mi va, non c’è
nessun problema. Allora mi saluta, dice che si chiama Silvia, abita in un appartamento
al terzo piano: posso guardarti dalla mia finestra, qualche volta. Non penso
sia una buona idea, rifletto, in ogni caso la lascio andare e resto fermo, sul
muretto, senza idee. Poi mi alzo, le mani nelle tasche, mi volto verso il
condominio: scoppierà una bomba, urlo forte scandendo bene le parole; e voi
dovrete per forza fare i conti con tutto ciò che adesso fingete di ignorare. Tutto
a quel punto sarà diverso, e voi dovrete accogliermi, non potrete farne a meno;
ed io e Silvia saremo le persone migliori di tutto questo posto, e voi vi
affaccerete alle finestre, e ci saluterete, riconoscendo il nostro valore e i
nostri meriti.
Bruno Magnolfi
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