Basta, dico a me stesso. Devo assolutamente cambiare, è doveroso per me e
per chi mi sta intorno. Spengo la radio, prendo la giacca, le sigarette, le
chiavi, ed esco senza neppure riflettere verso dove mi andrebbe di dirigermi.
Fuori la giornata è piovosa, i marciapiedi brillano d’acqua, e la gente cammina
intanata sotto agli ombrelli. Cosa mi importa, dico a un vicino che mi ferma
soltanto per parlare di qualche sciocchezza: sono stufo di tutto, gli fo, non
ho più voglia di perdermi in stupidaggini, e continuo per la mia strada senza
guardarlo.
Vado avanti da solo, nervoso, a passo svelto, poi entro in un bar, e mi
faccio servire qualcosa di forte. Butto giù due o tre bicchierini, pago alla
cassa e torno ad uscire. Ho bisogno di gente, di perdermi in mezzo alla folla,
di annullare me stesso per essere proprio come sono quegli altri, ed iniziare a
ridere e a gustarmi il tempo che passa ed il niente che sono.
Mi dirigo verso una piazza, e quando sono lì in mezzo mi fermo a guardare
qualcosa che mi appare subito ipnotico: delle luci che brillano sotto la
pioggia, due ragazzi che ridono scherzando tra loro; alcuni che camminano
nonostante il tempo inclemente, tenendosi a braccetto e tirandosi l’un l’altro
dentro le pozze sopra la pavimentazione di pietra. Vorrei essere loro,
divertirmi di niente, togliere di colpo da dentro la testa le preoccupazioni
che proseguono a darmi tormento.
Rido forzatamente, mi aggiungo ai ragazzi, faccio vedere che riesco anche
io a divertirmi, ma quelli si paralizzano, mi guardano con serietà, respingono
la mano con cui sono stati toccati, di fatto imponendomi di levarmi dai piedi.
Continuo a girare, mi piacciono le luci brillanti che mi circondano: le persone
si muovono dentro di loro, si specchiano e rifrangono nelle vetrine
multicolori, ed una danza di piccoli passi e di gesti essenziali prosegue senza
stancarsi, come un teatro infinito. Mi sento respinto da tutti, mi fermo, entro
dentro un caffè molto elegante. Ancora un semplice bicchierino, poi di nuovo la
strada per cercare ancora qualcosa, senza riuscire a decidere quale sia il vero
punto di svolta, il cambiamento, la direzione da intraprendere e da cui non sia
più possibile voltarsi all’indietro, per vedere ancora quello che ero, giusto fino
ad un attimo prima.
Invece riprendo senza alcun entusiasmo la via verso la mia abitazione, e proseguo
a ritroso sopra le medesime orme che ho impresso io stesso con queste mie scarpe,
fino a trovare di nuovo il mio noioso vicino, ancora lì sopra quel marciapiede,
quasi in attesa. Gli dico che non c’è niente di nuovo, e che forse sono
soltanto quelle sciocchezze di prima che possono rappresentare davvero qualcosa
di diverso nella mia giornata così ostile e monotona.
Lui mi osserva un momento, dice anche lui che dobbiamo cambiare, smettere
di prendere tutte le cose come nemiche della nostra esistenza. Abbiamo provato
ad agire d’impulso, mi spiega, quasi senza riflettere, ed abbiamo sbagliato.
Adesso è arrivato il momento di usare più logica, maggiore razionalità, e
finirla di intravedere in ogni avversario un nemico.
Bruno Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento