Pedalo svogliatamente sopra la mia vecchia bicicletta in quest’aria fredda
e buia della mattina, e non penso a niente altro che sia semplicemente cercare di
giungere al giusto orario sul mio luogo di lavoro, e forse stringere gli occhi
lacrimosi che mi frizzano ad ogni colpo di questo strano vento artificiale,
restando dietro a tutti i furgoni delle consegne, anonimi e frettolosi. Un
giorno qualsiasi anche oggi, senza alcuna novità, al punto che col mio collega
dovrò inventarmi qualcosa da dire, magari qualche argomento che non abbiamo mai
affrontato, o che al contrario abbiamo così sfruttato da mandarne a memoria
ogni dettaglio, tanto da poter riderci sopra.
Ma non voglio pensare a niente adesso, niente di quello che potrà essere
questa mia giornata, uguale o estremamente simile a qualsiasi altra, con quel
suo retrogusto vagamente amaro e privo di sostanza. Voglio andare avanti, minuto
dopo minuto, senza riflessioni che sono sicuro non porterebbero da nessuna
parte, e senza ricerche spasmodiche di senso che non troverò mai, in nessun
caso, neppure se le analizzassi al microscopio.
Provo ogni volta sempre più fatica quando mi siedo sopra al sellino di
questa bicicletta; mi impongo al mezzo con qualche sofferenza, e poi il mio
spirito ecologista mi richiama subito all’ordine, incoraggiando i miei muscoli
a dare forza a queste ruote stanche, annoiate, che magari vorrebbero seguire un
percorso un po’ diverso, e portarmi da qualche parte che ancora valga la pena
di essere visitata. Invece l’itinerario è il solito, quello segnato una volta
per tutte, lungo questo viale di cui mi è nota anche la livrea di ogni albero
che incontro, nelle diverse stagioni che ne modificano pur meravigliosamente
l’aspetto ed il colore.
Può essere sufficiente forse transitare sotto agli striscioni delle date
canoniche dell’anno, sempre nell’attesa di quello che sta di seguito una
settimana o un mese dopo, come tentare una rincorsa perenne, un sentir bruciare
dentro un desiderio di qualcos’altro che alla lunga però diventa anch’esso
un’abitudine. Ma può anche non esserlo, specialmente quando qualsiasi
variazione piccola o grande che sia in tutto il panorama, sembra non bastare
più a spingere sui pedali per questo semplice tragitto, casa e lavoro, e
viceversa, senza cambiamenti.
Proseguo, guardo avanti, qualche nuvola schiarisce sopra ai tetti delle
case, ormai ho percorso più di metà di questa strada che mi separa dall’entrare
dentro l’edificio che mi terrà racchiuso nel suo interno per tutta la giornata.
Un uomo dal marciapiede mi chiama col mio nome, così mi volto, lo guardo, ma
non lo riconosco; mi fermo, comunque, accostando verso di lui che continua a
guardarmi con un semplice sorriso. Non mi ricorda niente, nessuno con cui abbia
mai avuto a che fare, però lui ancora mi guarda, mi dà una piccola pacca
amichevole sopra una spalla, mi chiede come vada, ed io gli rispondo nella
maniera più stupida che riesca a trovare, sorridendo mentre gli dico che sto
andando al mio lavoro e comportandomi come se stessi ricordando esattamente
dove prima di adesso abbia già conosciuto i suoi modi e quella sua espressione.
Mi stringe la mano, dice che la giornata non è bella, forse verrà a piovere
nel pomeriggio, addirittura. Gli dico che sono in ritardo, lui alza la mano e
fa subito come un passo indietro, io rimetto il piede sul pedale, stringo il
manubrio, riparto senza perdere altro tempo, e quando sono già a qualche metro
di distanza, quello mi grida: divertiti, tu che lo puoi, per me invece sarà una
pessima giornata. Mi giro verso di lui, quasi incredulo di quelle parole, e mi
accorgo solo adesso che cammina zoppicando, come avesse un grosso problema ad
una gamba. Poi giungo sul posto di lavoro, ed improvvisamente ho voglia di
abbracciare il mio collega, forse soltanto perché in tutti questi anni da
quando lavoriamo assieme, non l’ho proprio mai fatto.
Bruno Magnolfi
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