Il
suono è quello che conta, pensava lei anni prima lucidando all’infinito quel
suo amato violino. Adesso, dopo l’abbandono quasi repentino dell’orchestra e di
quel mondo, soprattutto per la sua incapacità di stare al passo con le prove, considerati
anche gli estenuanti spostamenti di città e di nazione per l’esecuzione di
tutti i concerti, le resta soltanto quella custodia: un guscio chiuso, dentro
ad un mobile di casa, e le poche fotografie dei suoi amati successi inserite in
un album. Non ha mai voluto dare lezioni, non è per questo che si è
sacrificata, nonostante il suo diploma e tutta l’esperienza che aveva maturato,
perché la musica resta per lei soltanto la giusta interpretazione della pagina
scritta, e quindi adesso quello è come un capitolo chiuso, qualcosa che è
esistito una volta e poi basta. Però ascolta ancora le belle sinfonie alla
radio o sui dischi, e le piace farlo sempre da sola, con la mente proiettata in
quelle mani che sente ancora scorrere veloci sopra le corde, e quel suono che
ancora le appare fantastico, meraviglioso.
Suo
marito non le ha mai chiesto niente: quando si sono conosciuti, diversi anni
prima, lei aveva già abbandonato la sua carriera da concertista, e non
desiderava neppure parlare troppo di quella dolorosissima scelta, così adesso
niente di quel passato sembra mai affiorare nelle sue giornate attuali. Lei
esce da casa, guida la sua utilitaria, va al supermercato e sceglie gli
acquisti; poi torna a casa e sistema dispensa e frigorifero. Spesso si vede con
un’amica, vanno insieme a sedersi dentro un caffè e parlano della famiglia, dei
loro gusti, delle scelte che fanno. Lei dice: certe volte negli ultimi tempi mi
sento malinconica; ma poi penso che i giorni futuri saranno senz’altro migliori
di adesso, e così tutto mi passa. L’amica la guarda con un’espressione vaga.
Comprende benissimo che in fondo accontentarsi di un’esistenza normale non deve
essere stato per lei troppo facile, eppure sembra quasi impossibile scavare tra
i suoi sentimenti alla ricerca di quella materia.
La
malinconia fa parte di noi, le risponde l’amica cercando di pungerla in
qualcosa che magari ancora le brucia, ma lei si limita ad osservare qualcosa in
un punto qualsiasi, per poi dire che per lei sono soltanto degli attimi, e dopo
nient’altro. Però spiega che si è messa negli ultimi giorni a spolverare le
cose, a fare pulizia di alcune cianfrusaglie, ed ha lucidato persino la
custodia del suo violino, ritrovato in mezzo a tutte le cose vecchie. L’amica
torna a guardarla, ma solo per un attimo. Lo hai anche aperto, immagino, le
dice sbrigativa. Lei ci pensa per un tempo infinito, poi dice: si, ed è stato
terribile. Ma cambia immediatamente argomento, senza spiegarsi, senza dire che
cosa davvero ha trovato dentro quel guscio, e che cosa ha provato nel tornare a
riaprirlo.
L'amica resta
in silenzio, la lascia dire quello che vuole, a ruota libera, nell'attesa che
torni spontaneamente a parlare della cosa importante che aveva da dirle. L'ho
ripreso, spiega lei alla fine evitando ancora di guardare l'amica; l'ho messo
sopra la spalla, senza neanche accordarlo, ma così, solo per sentirne l'effetto
lungo il mio braccio. Penso che dopo tutti questi anni riprenderò un pochino
per volta ad esercitarmi, dice adesso tornando a guardarla; forse solo per
suonare qualche sera che ho bevuto un po' troppo, di fronte agli amici o ai
parenti, spiega ridendo. Certo, il mio suono non sarà mai più neppure
somigliante a quello che è stato, ma non voglio buttare via definitivamente una parte così importante di me. Eppoi ho
scoperto che quella cassa armonica, così bella e perfetta, da troppo tempo non
è stata più lucidata.
Bruno Magnolfi
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