Voglio salire su di un treno ed andarmene, gli
dico. Non so se sia del tutto una buona idea, fa lui. Dopo questo semplice
scambio di opinioni trascorrono parecchi minuti di silenzio, poi riprendo:
andarmene in un’altra città non è proprio una brutta cosa, credo. Lui guarda il
buio, sembra come trarre delle conclusioni dal niente, poi dice: i treni sono
diventati infidi, se proprio vuoi devi sceglierne uno di vecchio tipo, che non
abbia le porte automatiche, ed aspettare che il controllore ti arrivi vicino
mentre scorre a guardare i biglietti, poi alla prima stazione scendere dalla
parte opposta dei viaggiatori, e risalire dove lui è già passato. Se in quel
momento però passa un convoglio nella direzione opposta tu devi metterti subito
tra due vagoni e tenerti fermo a tutto quello che ti trovi a portata di mano,
perché il colpo d’aria potrebbe esserti fatale.
Resto immobile, rifletto. Lascio trascorrere anche
io parecchio tempo prima di dire qualcosa. Mi piacerebbe avere una bella
sigaretta in questo momento, ma non mi è rimasto neanche un mozzicone. Mi sono
scocciato di andare tutte le sere sul retro del ristorante da Guido per
aspettare che lo chef ci faccia la carità di una vaschetta o due piena di
avanzi, dico poi ad occhi socchiusi. Però quando ti portano anche una bella
bottiglia di vino pregiato che qualche cliente ha lasciato sul tavolo consumata
solo a metà, allora ti piace, fa lui. Va bene, gli dico, però adesso ho
soltanto voglia di buttarmi in qualcosa di diverso, tutto qua. Dappertutto
troverai le stesse identiche cose, fa lui, l’unica differenza è forse la carica
che ci metti tu in quello che hai voglia di fare.
Posso sempre usare la tecnica del cappello, fo io.
Scendere dal treno con un impermeabile grigio come più o meno indossano tutti,
e poi passare mescolato agli altri dall’interno della stazione o del
sottopassaggio, per andare a risalire velocemente sul medesimo treno indossando
però il cappello, nella zona dove è già passato quello stesso controllore. Lui
non ha certo voglia di tornare indietro a vedere chi io sia, se ho con me il
fottuto biglietto oppure no, e quando lo fa, dopo qualche altra fermata, posso
sempre fare di nuovo la medesima cosa di prima. Va bene, fa lui, te la puoi
sempre cavare, d’accordo, ma alla fine ti ritrovi in una città che non conosci,
senza riferimenti e neppure delle amicizie in grado di aiutarti.
Restiamo ancora in silenzio nel nostro angolo buio,
senza guardarci, le braccia appoggiate alle ginocchia, la nostra poca roba
sparsa davanti a noi. Potresti venire con me, gli fo senza spostarmi di un solo
millimetro. Lui non si prende neppure la briga di rispondermi, si muove un po’
sopra le sue chiappe, poi tira fuori qualcosa da un sacchetto, un paio di
sigarette nuove che spandono subito il loro aroma di tabacco fresco. Me ne
ficco in bocca una quando me la porge, mentre lui si prende l’altra, ed infine
ce l’accendiamo con una calma estrema, come se quella fosse la cosa più bella
tra tutte le possibilità.
Mi piacerebbe andarmene più a sud, gli dico, a
sentire un po’ di caldo, magari non in una città grande, è sufficiente un posto
di provincia, dove magari lo trovi per davvero qualcuno che ha voglia di aiutarti.
Lui continua a fumare, senza dire niente, come se tutte le mie riflessioni non
meritassero neppure una risposta. Continua a scrutare qualcosa dentro al buio,
come se da quello scuro potessero uscire gli argomenti giusti che gli servono,
però sta fermo, ed io penso che tra poco si sdraierà nelle sue coperte e basta.
Vengo con te, dice invece all’improvviso: non me la sento di lasciarti andare
da solo in posti che non hai mai visto.
Bruno Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento