La
lavanderia a gettoni è sempre vuota la sera, si può stare là dentro senza alcun
problema, ed aspettare con calma che i propri capi di vestiario siano lavati ed
asciugati dalle macchine. La mamma sembra contenta quando attraversa la strada
con il suo sacco pieno di roba da lavare, è come se quel momento fosse soltanto
suo, una spazio temporale in cui riesce a rilassarsi su una di quelle sedie di
plastica ancorate a terra, nell’attesa che il sibilo finale le indichi la fine
delle operazioni. Certe volte sono andata con lei, giusto per farle un po’ di
compagnia, ma infine mi sono resa conto che a quell’ora buia parlarle ancora
della scuola, della maestra, o dei miei compagni di classe, in quello spazio
pubblico così anonimo, forse non le interessava poi moltissimo.
Se
mi affaccio riesco a vederle le caviglie e le scarpe dalla finestra, attraverso
le porte a vetri della lavanderia ben illuminata, proprio mentre lei resta
seduta, e così so per certo che sta ancora lì, quasi come fosse semplicemente
in una stanza diversa della nostra casa, che purtroppo è piccola, tanto che non
c’entra neppure la lavatrice, e non c’è neanche lo spazio dove eventualmente
stendere la biancheria per asciugare. Stavamo in un’abitazione molto più grande
insieme a mio padre, ormai diversi anni fa, ma a me pare di non ricordarne neanche
poi molto di quella casa, e comunque se n’è andata presto, quando ero ancora
piccola, insieme a lui, spariti chissà dove. Con la mamma non si parla mai di
quel periodo, si fa finta non sia mai esistito, e se a me viene voglia di
chiederle qualcosa mi trattengo. Però so che lui ci manda dei soldi ogni tanto,
anche se non servono a molto, visto che la mamma è costretta a lavorare e anche
parecchio.
Stasera
ci deve essere qualcuno insieme a lei nella lavanderia, riesco a vedere le
scarpe anche di un’altra persona quando mi affaccio; è un uomo, seduto accanto
a lei, però mi dispiace ficcare il naso nelle cose sue, visto che in fondo è
come se questo fosse il suo momento, il suo piccolo angolo personale. Stanno
parlando, sembra quasi che si conoscano, forse si sono già incontrati là dentro
qualche volta, o forse quel signore è un nostro vicino di casa che magari ci conosce.
Che importa, mi dico, per me è quasi l’ora di andarmene a dormire, devo
riposare bene, domani ci sarà una verifica di matematica che non posso certo
sbagliare: voglio dimostrare di essere all’altezza per frequentare il prossimo
anno la scuola media, ed uscire da questa infanzia che ormai mi va un po’
stretta.
Guardo ancora fuori, la mamma è
ancora là con quel signore, per un attimo immagino possa essere proprio mio
padre, e che magari non sia neanche la prima volta che viene fino lì per
incontrarsi insieme a lei. Forse durante il giorno mi ha incontrato, e mi ha guardato
camminare mentre andavo a scuola, perché probabilmente non se la sente di
fermarmi semplicemente per la strada e dirmi come nulla: sono io, volevo
soltanto vedere quanto eri cresciuta, e anche l'espressione che avevi assunto
adesso che ti sei fatta così grande. Forse in quel caso l'avrei abbracciato, se
avesse detto proprio così; e forse gli avrei detto che mi è mancato sempre, che
ho pensato a lui tante di quelle volte da non saperlo adesso neanche spiegare. Certo,
rifletto ancora, deve essere proprio in questo modo, e la mamma sarà felice magari
nel sentirsi dire da lui che ha fatto degli errori, e che il più grosso di
tutti è stato quello di andarsene quel giorno, ma che adesso è qui per
rimediare, per trovare poco per volta con noi la maniera per ricostruire in
qualche modo la nostra famiglia, così com'era tanto tempo fa.
Torno ad affacciarmi con le
lacrime che oramai mi scendono lungo le guance. Adesso loro due stanno proprio sopra
al marciapiede, si stringono la mano, come degli amici, ognuno col suo sacco di
biancheria pulita. Non è mio padre quello, penso subito: sono soltanto una
sciocca.
Bruno Magnolfi
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