Io sono come tutti. Non penso mai a qualcosa come per un riferimento
positivo oppure come per un esempio da seguire, perché al contrario di qualcuno
che conosco, se serve io sono sempre pronto a prendermela con tutti, criticando
regolarmente chi mi capita più a tiro, scagliandomi spesso anche contro coloro
che magari solo mi sfiorano, ma che in qualche modo reputo ostili al mio modo
di essere, ed esternare questo mio comportamento già mi pare più che
sufficiente. Giro per strada con le mani sprofondate nelle tasche, e noto
sempre dei particolari negli altri che certe volte non riesco minimamente a
sopportare. Perciò dico che non si può andare avanti in questo modo, perché è
più che evidente come ogni individuo non possa avere altro da pensare che a se
stesso, e per questa semplice ragione non resta quindi spazio a nessuna
differente possibilità. Mi occupo dei fatti miei per quasi tutto il tempo che
ho a disposizione, almeno fino a quando non sono disturbato da qualche
deficiente che decide di incrociare la mia strada, e comunque credo proprio che
la mia sia la più onesta e lineare tra le normalità possibili.
Un conoscente mi ferma per dirmi che oggi forse non è una bellissima
giornata, ma che in ogni caso ci possiamo comunque accontentare. Lo guardo
subito male, gli dico che accontentarsi è già un termine che non sopporto, e
poi se non splende il sole come vorrebbe lui, comunque sia intanto non piove,
ma se pure piovesse forse per qualcuno andrebbe comunque già benissimo. Quindi
non è questo un argomento proprio fondante. L’altro mi guarda, dice che ci
potremmo comunque prendere un caffè nel locale più vicino, e questa alla fine
mi pare già un’ottima idea. Mi rilasso, ci sediamo, lui dice che in questo
periodo si sente molto indeciso su alcune scelte da fare circa il suo lavoro.
Lo ascolto, annuisco, penso sia un bravo ragazzo, uno che riflette a fondo le sue
cose, troverà sicuramente e in fretta la soluzione migliore ai suoi problemi.
La realtà non incoraggia, gli dico in breve: sono tutti ladri, bisogna stare
sempre attenti a come ci si muove.
Poi decido di parlargli di una mia difficoltà: si tratta di qualcosa che mi
capita di notte, quando sono nel mio letto per dormire, ed è proprio quel momento
in cui credo ancora di pensare a qualche cosa, quando in un attimo invece inizio
già a sognare, tanto che alla fine, non so neppure come, ecco che d’improvviso parte
l’incubo. Dei tizi che neanche conosco mi rincorrono, e mentre scappo a
perdifiato sento dietro le mie spalle che gridano il mio nome con tutta la loro
rabbia assurda che dimostrano di avere dentro, e poi dicono anche che sono
proprio io che li ho traditi, ed è per colpa mia se tutto sta lentamente ma
inesorabilmente sprofondando, e questi sconosciuti continuano a urlare queste
cose come se io fossi responsabile di chissà quali apparati: come un dirigente,
un comandante, un capo di un’organizzazione di cui però non sono assolutamente a
conoscenza. Allora cerco di parlare, di spiegarmi, di giustificare in qualche
modo le cose di cui sono accusato, e tutto si placa all’improvviso, probabilmente
proprio grazie alle mie parole, ed anche se in seguito mi sveglio ancora in
piena agitazione, sono già contento, perché so che probabilmente sono riuscito
a convincere tutti che davvero sono innocente, che quelle accuse su di me fin
dall’inizio erano tutte assurde ed infondate.
L’altro mi guarda, adesso sembra avere sulla faccia un’espressione ironica,
quasi beffarda, come se c’entrasse anche lui nelle cause del mio incubo. Gli
chiedo spiegazioni, ma lui resta in silenzio, solo continua ad osservarmi con un
viso che adesso quasi riconosco tra quelli di coloro che mi avevano inseguito.
Non dico niente, mi alzo dal tavolino, lascio degli spiccioli sul tavolo, poi
me ne vado; tanto non merita rimanere ancora lì.
Bruno Magnolfi
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