Spesso la ragazza si
annoiava, seduta ogni giorno al bar del bagno Orchidea, uno stabilimento come alcuni
altri appollaiato sulla riva sabbiosa di quel mare calmo e piacevole come sembrava
spesso mostrarsi durante quell’estate. Quando al pomeriggio arrivavano diversi
ragazzi a ridere e a scherzare forse le cose andavano un po’ meglio anche per
lei, che comunque si limitava a guardarli e a sorridere ogni tanto, anche se
alla fine tutto quanto durava sempre poco per riuscire davvero nell’impresa disperata
di innalzarle quel morale sempre troppo basso, tanto che la sua voglia di
divertirsi così sopita nelle sue espressioni, pur manifestata in ognuno di
quegli attimi apparenti, sembrava poi svanire presto, come in un lampo. Lei
dopo poco tornava difatti come a cercare con lo sguardo qualcosa su quell’orizzonte
proprio di fronte, sempre incantata da quel chiarore immobile del sole e anche di
quell’aria tersa di brezza semplice e leggera. Lui l’aveva notata già in altre occasioni,
anche se non la conosceva, e guardandola ogni volta in gran segreto comprendeva
che c’era un magnetismo nei suoi modi che non poteva certo riuscire a disconoscere,
anche se la sua timidezza non lo portava assolutamente a farsi avanti.
Poi lui parve
disinteressarsi dei comportamenti di quella enigmatica e ombrosa ragazza per un
periodo di tempo lungo forse più di qualche giorno, come se lo stallo verificato
già nelle poche volte che loro due si erano incontrati da lontano, gli desse la
sicurezza che qualsiasi avvicinamento non potesse portare mai da alcuna parte. Così
si sedette quasi svogliatamente, appoggiando il mento quasi imberbe sopra le
mani dalle dita ben intrecciate tra di loro, e senza mai guardarla, complice il
locale quasi vuoto, disse ad alta voce che avrebbe voluto tanto andarsene via
da quelle giornate senza alcun significato, ma lo fece come parlasse praticamente
da sé solo. Lei allora sottovoce gli chiese qualcosa, forse soltanto per
educazione, e lui tardò tantissimo nella risposta, quasi per mostrare che se
parlava lo faceva come attivando una sorta di monologo, non certo per tentare
uno stupido abbordaggio nei confronti di una ragazza pur della sua apparente
stessa età.
Si incamminarono
insieme, poco dopo, lungo la battigia, scorrendo lentamente a piedi scalzi le
bave d’acqua che giungevano da chissà dove sulla sabbia, lasciandosi concedere
ad ogni onda pur debole e piccola, quella piacevole sensazione di risacca data
dai frammenti di pietra levigata che si muovevano con l’acqua per conto proprio
sotto ai loro corpi, come rispondendo alla spiegazione di una filosofia lontana
che denotava il mondo fatto tutto di atomi, di particelle minute e tutte
identiche. Lui perlopiù parlava di se stesso, evitando di porre a lei delle
domande dirette che sarebbero potute risultare anche antipatiche, e lei si
agganciava a quei suoi insoliti argomenti elaborando i medesimi pensieri con
delle riflessioni adatte, o giustapposte, spesso vicine.
I loro corpi andavano evidentemente l’uno verso
l’altro, era innegabile, anche se i loro differenti pensieri restavano spesso
agganciati alla mestizia del perseguire giorni inutili, vuoti di interessi
veri, forse troppo lusinghieri soltanto agli innamoramenti usuali e monotoni di
qualsiasi estate. Andarono avanti per parecchio tempo comunque, anche oltre la
stagione calda, anche parlandosi per lettera, fino a rendersi conto
d’improvviso che quei granelli di sabbia così effimeri apprezzati tra le dita
dei loro piedi nudi durante quei brevi giorni di vacanza al mare, sarebbero probabilmente
rimasti sempre identici, inamovibili davvero, del tutto indifferenti a
qualsiasi loro scelta di futuro. Si persero, come era inevitabile, ma soltanto
perché incapaci di produrre una colla tale da far tenere i loro pensieri ancora
assieme, come la stessa sabbia, primordiale e sciolta.
Bruno Magnolfi