lunedì 9 aprile 2018

Via di fuga.




Vorrei perdere la mia identità mentre cammino per la strada. Dimenticare in un attimo chi sono, la mia storia, i miei problemi. Mi fermo, guardo semplicemente la facciata di un palazzo, e cerco di immedesimarmi in qualcuno che neanche conosco mentre lo osservo rincasare proprio in questo attimo, trasformando forse i miei pensieri in degli stupidi dettagli di una giornata senza caratteristiche, scorrevole, ordinaria, priva persino di qualsiasi affanno.
Non sono nessuno, se ci penso; non ha alcuna importanza ciò che faccio, che io mi arrabbi contro qualcosa che non riesco assolutamente a digerire, oppure se sia irritato nei confronti di un destino di cui non conosco neppure la natura e che sembra giorno dopo giorno attirarmi in una strada senza alcuna via d’uscita. Forse vorrei essere ancora per un po’ quello che in sostanza sono sempre stato, ciò che quotidianamente in tutti questi anni sono riuscito con sacrificio a tenere insieme; assemblare così un compendio di tutti i desideri, di tutte le mie perplessità, di tutto quell’insieme di piccolissime esperienze che hanno composto la somma dei miei giorni, con tutti gli sbagli e le rare combinazioni fortunate che pur si sono presentate, naturalmente senza che io abbia minimamente saputo coglierle, e poi, se fosse possibile, gettarle via, in un solo unico gesto.
Vorrei che qualcuno tra coloro che davvero se ne intendono di queste cose venisse qui davanti a me per dirmi senza alcuna mezza parola dov’è che non ha funzionato il mio progetto, che cosa sia ciò che è risultato sempre come sospeso ogni volta che ho cercato di dare vita ad un pensiero che mi girava nella mente; dove non sono riuscito ad imprimere la giusta enfasi ai miei gesti, ed in quale caso sono rimasto probabilmente troppo fermo in una posizione debole, aspettando forse che le cose iniziassero quasi da sole ad acquistare quota, sospinte magari da un alito di vento improvvisamente generoso. 
Mi piacerebbe magari dimenticarmi anche di tutto, ed iniziare così una fase nuova, qualcosa che non avesse necessità di un talento particolare, ma che fosse frutto soltanto di un’idea diversa della realtà, come una voce nuova, un’interpretazione differente di questa normalità di cui ho sempre sofferto. Rido di questo pensiero mentre continuo a camminare: tutto si regge sulla capacità di stare esattamente nel posto che ognuno di noi può mostrare come proprio, anche se alla fine lo stesso tizio che si mostra sa di non avere una collocazione vera e propria. Cammino restando dentro alle mie vesti, ma forse potrei essere chiunque mentre percorro queste strade.
Non so bene neanche più che cosa fare. Andarmene via, allontanarmi rapidamente da tutto quanto ciò che mi circonda. Oppure mettermi in un angolo come un animale che riesce a fiutare sempre di più l’approssimarsi del proprio destino, e quindi sfuggire la realtà ma contemporaneamente sentirsene anche succube. O anche cercare indifferenza, e proseguire come sempre, dritto sulle proprie gambe, come un personaggio senza sentimenti, coerente e ligio alla sua sorte. Non lo so, vorrei dare un segnale a quanti sono in grado di coglierne il valore. Anche se sto chiudendo una per volta le mie porte, senza lasciarmi alle spalle alcuna via di fuga.

Bruno Magnolfi

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