Lei certe volte è sfuggente. Ti
guarda, abbozza un timido sorriso, poi torna ad avere la sua espressione di
sempre. Tu non riesci a comprendere che cosa le sia passato nella mente in quel
preciso momento, perciò tenti una piccola provocazione, una frase impersonale
buttata lì, che non significa un bel niente, ma che forse potrebbe anche aprire
nuovi argomenti. Lei torna a guardarti, adesso con espressione più pungente,
quasi irritata: non ha importanza, rifletti; hai vissuto già almeno cento volte
questo stesso momento, si tratta di adottare l’atteggiamento migliore che ti
sia riuscito in tutti questi casi, e poi mostrarti docile, incredibilmente capace
di una grande comprensione.
Una volta lei ti ha raccontato la
sua storia, ma a te è sembrata strana, quasi inventata. Che significato ha,
rifletti adesso, che ci sia stato un passato insolito, pieno di imprevisti, se
poi tutto ti serve soltanto per fare delle facce strane, delle espressioni che
appaiono persino poco comprensibili. Però le chiedi ancora di suo padre, non
per una tua semplice curiosità, quanto perché vorresti cercare di mettere in
relazione i suoi attuali comportamenti con qualcosa che magari giunge chissà, da
parecchio lontano. Lei sorride, poi inizia a dirti che lui lo hai visto generalmente
poco quando eri più piccola, perché era sempre in giro per lavoro.
Forse già questo è sufficiente
pensi; essersi raccontati che certi malesseri non possono che derivare da
qualcun altro, dalle scelte di quello, dai suoi comportamenti, da quella dose
di cattiveria innata che hanno sempre avuto nei tuoi confronti tutti coloro che
davvero contavano per te. Ma lei invece prosegue, dice che avvertiva da subito
tutta la sofferenza della mamma, sempre da sola a prendere le piccole decisioni
di ogni giorno. Non è facile crescere in un clima di questo genere, spiega poi con
voce morbida, perché qualcosa alla fine ti porti dietro anche in seguito,
diventa inevitabile.
Volti lo sguardo da qualche altra parte,
perché ti sembra una strategia inventata chissà quando soltanto per darsi un
tono, per difendere la propria personalità da una realtà che appare ostile ed a
cui si cerca di opporre una grande fragilità neppure desiderata proprio da chi
parla. Lei appartiene ad una casistica abbastanza consueta, se non fosse che
sembra credere davvero a quanto prosegue ad affermare. La guardi, è tutto
chiaro, mostri che hai capito, anche se è del tutto un’altra cosa rispetto a
quello che lei sta immaginando.
Naturalmente è impossibile impostare
un minimo di sensualità in simili frangenti, tanto vale, se un minimo ne ha
voglia, lasciarla andare avanti così per conto proprio, limitandomi ogni tanto
ad accennare un elemento affermativo con la testa, fingendo di seguire tutto
quello che da lei continua a venir fuori, oppure improvvisamente portando ogni
problematica su argomenti del tutto secondari, quasi anticipatori della noia e
della stanchezza dilagante.
Lei ad un tratto si rianima, dice
che abbiamo parlato anche troppo di se stessa, adesso è il caso di colloquiare
con maggiore leggerezza, di stare più tranquilli, dimenticare i problemi forti
e pressanti che talvolta ci sovrastano. Sono stanco, dico con sincerità.
Affrontiamo questa seconda categoria di pensiero in un’altra occasione: per
adesso va bene così, ci siamo capiti.
Bruno Magnolfi
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