Lucio confida al
medico di provare un forte senso di oppressione ogni volta che si corica nel
letto e chiude gli occhi per addormentarsi, come se il suo corpo cercasse quasi
di sfuggire in qualche modo a quel necessario stato di riposo. Si tratta di alcune sensazioni un po’
particolari, spiega meglio, come se tutte le preoccupazioni della giornata ed
anche del periodo si concentrassero nella mia mente proprio in quegli attimi,
spaventandomi e rendendomi spesso irrigidito. In pochi minuti però la
stanchezza e l’abitudine prendono naturalmente il sopravvento, ed infine riesco
come tutti ad addormentarmi, tanto che alla fine sono in grado in genere di
riposare bene per tutta la notte senza dover affrontare altri problemi, conservando
pur tuttavia una parte di quel forte turbamento provato subito prima del sonno,
restandomi impresso nella mente come una brutta esperienza, al punto che riesco
a sentirne ancora il sapore amaro per tutto il mattino seguente dopo il
risveglio.
Il medico chiede allora a Lucio se questa sua
presunta oppressione non sia data per esempio dalla monotonia o dalla
pesantezza del suo lavoro, oppure da alcuni comportamenti assunti da qualche suo
collega o da qualche conoscente, o anche dai rapporti che intrattiene con i
suoi affetti più vicini magari, che in certi casi forse riescono a deluderlo; o
magari semplicemente da qualcosa che lui stesso vorrebbe fare e che invece proprio
non affronta, ma mentre lo ascolta Lucio comunque si limita a disegnare un
gesto in aria con la mano, presentando un mezzo sorriso sopra la sua faccia, come
a mostrare l’infondatezza di tutte quelle ipotesi. No, dice subito dopo. Non è questo.
Si tratta di una parte di me, di un elemento della mia personalità che sento
nel profondo, dove nessun altro ha un ruolo, se non solamente me stesso e la
mia sensibilità.
Forse è soltanto un ricordo, prosegue Lucio, qualcosa
che senza averne precisa coscienza cerco di far riaffiorare ogni volta alla mia
mente, qualcosa che con ogni probabilità adesso non ho più dentro di me, forse
perché semplicemente l’ho rimosso: praticamente ci sono certe zone del mio passato
di cui sono sicuro una volta essere stato custode geloso dentro di me, ma che poco
per volta sono uscite dalla mia memoria. Non so, magari tra un po’ di tempo
probabilmente riuscirò a mettere a fuoco nuovamente quel particolare ricordo o
tutti quegli altri di chissà quanto tempo fa, però sono sicuro che la mia mente
ne ripescherà soltanto la parte che maggiormente sceglie di desiderare,
tralasciando furbamente tutte le altre. Sarà così semplicemente un’altra cosa,
anche se sono sicuro fingerò che siano stati proprio quelli i miei ricordi che
avevo come perduto, ed in questo modo tutto verrà brutalmente riplasmato, come fosse
un materiale duttile a cui si può cambiare la forma ogni volta che si vuole.
L’oppressione che provo insomma è data forse proprio da questa debolezza che
sento nel mio animo, da questa mancanza sistematica di qualche elemento nella
mia memoria, e dalla incapacità che provo alla fine di avere in me dei ricordi
veri, concreti, obiettivi.
Tutti siamo fatti più o meno così, dice il medico,
la nostra memoria produce un continuo lavorio di miglioramento e di
sostituzione dei particolari di ogni ricordo, fino a rendere la memoria di ogni
fatto del passato spesso quasi un’altra cosa, forse più piacevole, più
congeniale alla nostra voglia di tenerne a mente fedelmente dei dettagli. Va
bene, dice Lucio, in ogni caso l’oppressione che provo non è certo qualcosa di
così comune, e non può essere curata banalmente con qualche pillola o degli
ordinari ritrovati medici. Ci vorrebbe un cambio di programma nella mia mentalità,
qualcosa che mi provocasse una certa indifferenza verso tutto il mio passato,
piuttosto che cercare di ricostruirlo. Come se improvvisamente mi ritrovassi a
vivere soltanto di presente, senza bisogno alcuno di avere ancora dei ricordi.
Bruno Magnolfi
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