“Non è sempre stato
così”, dice lei alla sua vicina di terrazzino, mentre sta quasi osservando
qualcosa che in questo momento immagina come un punto lontano, oltre le
facciate di tutte quelle case intorno decisamente simili, in fondo a quei
palazzi di quartiere dove tutti gli inquilini hanno sempre finto di conoscersi
tra loro, sentendosi uniti in qualche modo da quel loro semplice abitare,
rimanendo poi tutti rinchiusi nei propri appartamenti per quelle tante e lente ultime
settimane, condizionati in ogni loro azione individuale dalla paura folle del
contagio, e scoprendo con sorpresa la notizia di qualcuno ammalato per davvero,
in pericolo di vita, confessandosi sottovoce queste informazioni proprio dentro
al piccolo supermercato della zona, entrando tre per volta, attaccati ai numeri
delle vittime e degli ammalati ribaditi ogni giorno da tutti i notiziari. Non
sono state molte invece le occasioni tra loro due per scambiare qualche parola:
la sua vicina è giovane, sposata da poco tempo, ed è venuta ad abitare
nell’appartamento accanto al suo praticamente meno di un anno prima. Poi tutto si
sa, è come precipitato, ed il semplice buongiorno scambiato inizialmente per
pura cortesia sulle scale del sesto piano oppure dentro l’ascensore, è
diventato rapidamente un rispettoso e distanziato: “come va?” accompagnato ad
un largo sorriso, tanto per sentirsi in fondo dalla stessa parte, e per ripetere
quasi le medesime cose di ogni giorno.
Lei al contrario abita
in quel palazzone senza caratteristiche da più di trent’anni filati, dall’epoca
lontana in cui era ancora in vita suo marito, quando le giornate spesso
apparivano molto più leggere, prive di preoccupazioni vere, senza le ossessioni
che adesso ormai paiono addirittura quasi naturali. “Ci sembrava il paradiso
questa zona e questa casa”, aggiunge poi con un leggero sorriso amaro. L’altra
non riesce a spingersi così indietro nel tempo tanto da immaginarsi quel
quartiere in anni così differenti, però annuisce, dà ancora due colpi di scopa
al pavimento del terrazzo e quindi rientra, per continuare con le sue
occupazioni. “Forse era quella scarsità di soldi in tasca a costituire una vera
e profonda differenza”, pensa adesso lei, rimasta sola davanti alle file
ordinate delle tapparelle tenute dai residenti degli appartamenti a metà corsa
sopra le finestre dei palazzi in faccia al suo. “Però si stava bene, sembrava
proprio non mancasse altro”.
Quindi rientra dentro
alle proprie quattro stanze, con un’ultima occhiata all’aria tiepida ed alla
luce intensa che regna subito là fuori, quasi una rondine che gioisce per un
po’ di cielo aperto, per poi infilarsi subito dopo dentro un tetto. “Neanche i
miei figli hanno apprezzato tutto questo”, pensa ancora; “ed appena ne hanno
avuta la possibilità, sono volati via, come se questa fosse stata per loro quasi
una piccola prigione”. Anche lei evidentemente si era dovuta accorgere, ad un
certo punto, ma molti anni dopo, che quel quartiere tirato su rapidamente negli
anni in cui l’economia girava bene, non era esattamente il paradiso, però
l’abitudine a stare in quella casa non le era minimamente mai parsa una possibile
costrizione, non come adesso comunque, quando d’improvviso le quattro mura sono
diventate per tutti, e anche per lei, l’unico luogo dove poter sedere e
respirare senza filtri e protezioni, il solo ambiente adatto per una
tranquillità completa, come hanno continuato a ripetere le autorità in tutti
questi mesi e ad ogni notiziario.
“Non importa”, pensa
adesso mentre si siede nel suo angolo di casa preferito. “Passerà anche tutto
questo”, proprio come qualsiasi altro periodo difficile che in una vita ci si
trova ad affrontare. Torneremo a stare bene, ad essere contenti di quel poco
che comunque ci è toccato, e a dare un’altra occhiata al cielo, da queste
finestre o dalla terrazza, ed a scoprirsi già contenti di sentirsi liberi
nell’aria, almeno per un attimo.
Bruno Magnolfi