Mi stanno
cercando. Mi sento braccato, come un animale in fuga, ed ho paura di commettere
degli errori che portino rapidamente i miei inseguitori sulle mie tracce. Per
questo mi sono infilato in questo scantinato buio e umido, per osservare la
strada, in questo momento fortunatamente deserta, dalla grata di ferro che si
apre al livello del marciapiede. Si stanno ammalando tutti in questo periodo,
sostiene la radio; dicono che sono io che ho diffuso questa loro malattia, anche
se sono sano, e devo per questo essere fermato, al più presto possibile, proprio
per mettermi in condizione di non nuocere, qualcuno dice per isolarmi, altri
per incenerirmi, per chiudere definitivamente con me. Non ho fatto niente di
male penso, e se devo essere curato sono disposto a farlo, però la radio non
dice così, ed io oramai ho paura di tutto. Hanno iniziato i miei vicini di casa
a scansarmi incontrandomi, poi li ho visti a gruppetti che parlavano
concitatamente tra loro, che telefonavano, che chiamavano probabilmente le
forze dell'ordine, o chissà chi.
Così mi sono allontanato rapidamente da
casa mia, ma non ho un luogo sicuro verso dove recarmi, così cerco di cambiare
continuamente la mia posizione, fingendo ogni volta per strada di essere uno
qualsiasi. In giro ormai non si vede quasi più anima viva, se non quelli con le
divise che continuano a perlustrare ogni angolo. Sento dei rumori sopra di me,
qualcuno dice: "l'ho visto qua". Parlano di me, non c'è dubbio, quindi
devo trovare rapidamente un nuovo rifugio. Esco di corsa dallo scantinato e
prendo velocemente lungo il viale. Nessuno sembra seguirmi, e a me non conviene
certo andare troppo di fretta, attirerei subito l'attenzione di tutti. Così vado
a sistemarmi sotto ad una piccola tettoia al margine di un giardinetto,
riparato da un muro alla vista di chi sta transitando lungo la strada. La radio
che ho nella tasca dice che va trovato al più presto colui che diffonde il
bacillo infernale, e messo in condizioni di non nuocere a tutti quanti. Un
giornalista ipotizza che gli untori, come dovrei essere io, siano ormai già una
decina in questa città.
Passa una macchina con le sirene spiegate,
la situazione sanitaria sta sfuggendo a qualsiasi controllo penso, e se agli
ammalati inconsapevoli non viene fornita una via d'uscita efficace le cose d’ora
in avanti saranno destinate soltanto a peggiorare. Ho fame, devo mangiare
qualcosa, perciò entro in un supermercato qui accanto tenendo il bavero della
giacca sul viso, in maniera che nessuno mi riconosca nel caso abbiano diramato
per televisione delle fotografie. Si entra due o tre per volta, e tutti hanno
la faccia coperta: sto tranquillo, metto velocemente i miei acquisti dentro al
cestino e vado alla cassa. Nessuno mi dice qualcosa, pago i miei acquisti e poi
esco. Ma la polizia è già lì che mi aspetta, con un paio di volanti messe accanto
al largo marciapiede di fronte. Muovo la corsa alla mia destra, sento intimarmi
qualcosa alle mie spalle, e dopo un secondo viene sparato un colpo di pistola,
probabilmente in aria. Tremo, mi immobilizzo, le mie gambe non tengono, mi
arrendo, non posso più ancora fuggire, e in un attimo gli agenti mi sono
addosso, anche se nessuno di loro mi tocca. Intervengono subito alcuni infermieri
coperti con degli scafandri, mi infilano un ago nel braccio e mi mettono
rapidamente nelle condizioni di non reagire.
Mi portano via con un'ambulanza
attrezzata, le sirene spiegate, una fretta maledetta, tutti che mostrano un
nervosismo incredibile, fino a quando vengo tirato giù con una barella chiusa
da plastica trasparente, e subito mi introducono in un reparto speciale, mi
girano, mi auscultano, analizzano ogni cosa di me, fanno tutto quello che
vogliono in pochi minuti, come dipendesse ogni cosa da quei risultati, da
quegli esami, da quelle analisi composte da vetrini, reagenti, campioni,
elementi di ogni natura. Non oppongo alcuna reazione, sono qui, sembro dirgli a
tutti quanti, fate pure ciò che volete. Non ho niente, mi dicono dopo un po’;
non sono positivo, posso anche andarmene via, dove voglio; anzi, mi dice un
medico, devo immediatamente lasciare libero il luogo, perché adesso sono
soltanto un intralcio, un ingombro, uno che oramai dà soltanto fastidio.
Bruno Magnolfi
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