Alla fine
di una qualsiasi mattinata di lavoro, dopo aver messo in lista una serie di
nuovi potenziali compratori di appartamenti, importantissimi per la nostra agenzia,
tutte persone molto interessate alle nostre offerte, e naturalmente desiderose
di visitare gli immobili in vendita presso di noi il prima possibile, mi
giunge, filtrata dalla giovane ragazza che fa da segretaria nei nostri uffici,
una telefonata inaspettata. <<C’è un signore all'apparecchio, uno che
dice di chiamarsi Mauro, e di essere il proprietario di una tavola
calda>>, dice Elena con la sua voce neutra. <<Certo>>, faccio
subito io, <<lo conosco, me lo passi pure>>. Nel breve silenzio
elettronico che subito si impone, avverto solo il piccolo scatto di un
pulsante, poi indubbiamente un lieve rumoreggiare di voci sul fondo di quel
locale che immagino e che conosco bene. <<Buongiorno, signor Adriano,
scusi il disturbo>>, mi fa il padre di Luciana con parole garbate ma anche
un modo molto abituato a discorrere senza timori con ogni tipo di persona.
<<Abbiamo tutt’e due poco tempo da perdere, e quindi mi scuserà se
affronto per telefono un argomento che forse meriterebbe essere trattato di
persona>>. <<Non si preoccupi, mi dica pure>>, gli faccio io
cercando di essere il più possibile alla mano. <<Vede>>, fa lui,
<<conosco mia figlia, e da qualche giorno mi pare all’improvviso quasi
un’altra, tanto appare entusiasta di lei e del vostro incontrarvi. Siccome
abbiamo deciso da poco la trasformazione del locale, lasciando assumere a
Luciana la gestione, mentre io contemporaneamente vorrei anche ritirarmi, visto
che sono tanti anni che svolgo questo mestiere ed ho maturato ormai l’età della
pensione, non vorrei che tutto questo provocasse un gran pasticcio>>.
Sorrido, anche se sono da solo nell’ufficio, però mi viene difficile
rassicurarlo, nonostante gli dica subito che non è certo mia intenzione
confondere sua figlia fino al punto di farle perdere di vista gli impegni di
cui si sta prendendo carico. <<Vede>>, prosegue lui; <<tra
voi due so che ci corrono diversi anni, questo è innegabile, e Luciana fino ad
oggi è sempre stata in famiglia, specialmente dopo che purtroppo è venuta a
mancare la sua mamma; così, forse, adesso le manca proprio l’esperienza giusta
in certe cose, e poi sinceramente, non vorrei andasse incontro a qualche forte
delusione, ecco>>.
Tiro un
respiro, lascio in aria una pausa come per ponderare al meglio le parole che
sto per pronunciare, ma infine replico: <<Luciana è una persona
adorabile, ed io le voglio bene, lo dico con piena sincerità; se ci sarà un
futuro per noi due, adesso mi sembra presto per riuscire a stabilirlo, però è
giusto che si sappia fin da subito che io mi impegnerò affinché questo possa
realizzarsi>>. Mauro forse vorrebbe aggiungere qualcosa, ma qualcuno
sembra che lo chiami nella normale confusione sempre presente dentro al suo
locale, così dice soltanto: <<Va bene, va bene; mi scusi ancora se mi
sono permesso di disturbarla; però lei è mia figlia, ed io in questo momento ho
soltanto il desiderio del meglio possibile per il suo avvenire>>. Ci
salutiamo con reciproca cortesia, riattacchiamo la telefonata, e all’improvviso
mi sento come se avessi chissà quanti anni di meno, invece di aver superato
oramai la mezza età. Ma non importa, Luciana è una ragazza speciale per me,
anch’io voglio renderla felice, e mi impegnerò a fondo per spianare la strada a
tutto questo.
Poi indosso il mio soprabito,
avverto Elena che sto per uscire, ed infine prendo la mia cartella con i
documenti, sostenendo, quasi per giustificarmi, che ho un appuntamento urgente con
dei clienti che desiderano visionare uno dei nostri appartamenti in vendita. Ma
non è la verità. Fuori dagli uffici compio un lungo giro a piedi, proprio come
per andare incontro a chissà quali impegni, ed alla fine mi ritrovo davanti
all'agenzia di Elisabetta, il mio vecchio luogo di lavoro, anche se sosto, con
una mano sprofondata nella tasca e nell’altra la cartella, dalla parte opposta
della strada, ad osservare quell'entrata, la vetrina, i piccoli negozi a
fianco. Non so come, però mi nota la mia collega di un tempo, così socchiude la
porta, e poi mi guarda, da questi dieci metri di distanza circa, mentre il
traffico intenso rende le nostre figure molto più lontane tra di loro.
Elisabetta si trattiene sulla porta dell'ufficio, senza uscire del tutto sopra
al marciapiede, ed io forse vorrei farle un cenno con la mano, darle un saluto,
ma poi mi volto da un lato, e riprendo a camminare, quasi non l'avessi vista.
Il giorno seguente, sopra una
delle vetrine opache della mia agenzia "F. & A.", trovo una
frattura: un colpo ben assestato con un corpo metallico, una botta insomma, che
non ha sfondato il vetro, non ha neppure fatto scattare l'allarme, ha solo
composto una piccola ragnatela concentrica poco evidente, ed ha comunque
lasciato una firma assolutamente indelebile.
Bruno Magnolfi
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