Ultimamente
mi sembra di procedere sempre di più nel chiudermi in me stesso, forse lentamente,
ma con un evidente moto costante, e di avvertire, nel provare questa sensazione
di isolamento da tutto, il rischio di poter perdere completamente la capacità
di sentirmi come gli altri. Osservo con attenzione tutti, in special modo
coloro che conosco, e mi appaiono oramai sempre più distanti dai miei modelli,
come se la loro stessa struttura di pensiero, ma anche le aspirazioni, le
necessità, le voglie istintive, fossero del tutto differenti alle mie, ed in me
adesso fosse annidato soltanto un malessere diffuso, un’incapacità latente a
togliermi di dosso il lato più sensibile al dolore. Sto male, anche se non
comprendo con precisione perché e di che cosa. Forse proprio di questa
differenza che rilevo quotidianamente. Mi rigiro in mezzo alle mie cose, e
subito le disprezzo, nella stessa maniera in cui potrei odiare una rete a
grandi maglie dentro cui sono caduto, come in una trappola, chissà in quale
maniera, e che adesso quasi mi costringe ad un completo immobilismo, senza
neanche concedermi la possibilità di chiedere soccorso, un intervento
caritatevole, un aiuto qualsiasi, per liberarmi dall’obbligo di restare
immobile, così, senza nessuna possibilità di scelta. Vorrei tanto, certe volte,
avviare dei cambiamenti nelle mie giornate, giusto per dare variazione ai
soliti percorsi, ma poi ricado con semplicità nelle abitudini, e quando mi
accorgo che molte persone attorno a me spesso non fanno neppure caso a ciò di
cui io al loro posto mi preoccuperei parecchio, ecco che giunge il moto
spontaneo di netta chiusura tra me e tutti questi.
Con
questi pensieri entro nella birreria di Lorenzo, forse l'unico, tra chi
frequento, che riesce a comprendermi anche senza dover porre delle vere domande,
ma lui non c'è stasera, e a servire dietro al bancone oggi è presente soltanto uno
dei suoi colleghi, anche se questo in genere è il suo orario. Mi siedo, prendo
una birra, aspetto che accada qualcosa, anche se sembra tutto calmo. Ci sono
dei ragazzi che parlano tra loro, e ad un tavolo una coppia discute di qualcosa
sottovoce. Dopo un po' arriva Lorenzo, fa un cenno all’altro e poi sparisce sul
retro. Quando torna a farsi vedere dietro al bancone mi saluta, sistema subito
qualcosa che forse è ancora da mettere un po’ in ordine, poi inizia col
preparare dei panini che hanno appena ordinato un paio dei ragazzi. <<Sembra
che la tua agenzia vada forte>>, mi fa senza alcuna enfasi. Non rispondo
niente, so che lui intende solamente punzecchiarmi per farmi dire qualcosa, ma
non è esattamente di questo che vorrei parlare. Aspetto qualche minuto, poi,
quando mi ripassa proprio davanti, dico: <<Mi dispiace per Elisabetta, se
è questo che vuoi sentirti dire; e poi sono stato preso in mezzo, senza la
possibilità di tirarmi indietro, anche se la mia idea non era certo quella di
mettere su una nuova attività>>. Lui non dice niente, prosegue a svolgere
i propri compiti dietro al bancone, e alla fine viene vicino a dirmi: <<Non
ce l’ho con te, lo so che in fondo sei buono, però non dovresti allontanare
tutti in questo modo>>.
Immagino
che Lorenzo ultimamente abbia parlato con Elisabetta, e lei si sia sfogata
spiegandogli che le cose per il suo lavoro stanno andando male, che la sua conosciutissima
agenzia di quartiere, grazie a me, ha già perduto dei clienti, che la
sostituzione della mia figura professionale risulta meno semplice di quello che
sembrava, e che alla fine ha subìto uno scherzo che non si meritava. <<Non
è facile certe volte essere sé stessi>>, gli dico tanto per dire, ma lui
non mi risponde, continua a servire gli altri clienti, passa e ripassa davanti
a me, ma è come se ormai non esistessi. Mi alzo, pago la birra, quindi mi avvio
per uscire dal locale. Non so neppure io cosa sia meglio fare: se fregarmene di
tutto, oppure fare qualche tentativo per recuperare qualcosa dei rapporti con
le persone che maggiormente mi interessano. Mentre giungo sulla soglia del
locale, Lorenzo mi raggiunge: <<Mi sa che sei sempre più da solo>>,
mi dice mentre corregge qualche prezzo della birra sulla lavagnetta
dell’entrata. <<Forse cambio casa>>, gli dico non trovando altro
argomento. <<Magari ti fa bene>>, risponde lui; <<Ma non
andare ad abitare troppo lontano da qui, altrimenti diverrai sempre più un
estraneo>>. Allora gli metto una mano sulla spalla, per salutarlo, e
infine esco.
Sto
pensando troppo a me stesso, almeno in questo periodo, rifletto mentre mi
incammino verso la mia macchina. Devo assolutamente trovare la maniera di
svagare la mia mente, e di trovare di nuovo quella leggerezza che sembrava
accompagnarmi fino a qualche tempo fa. Non sono più neppure passato dalla
tavola calda di Luciana, da diversi giorni, e lei comunque non mi ha
telefonato: ci stiamo perdendo, proprio come avevo immaginato; ma non riesco
neanche a decidere, giunti a questo punto, se sia un bene per ambedue, oppure
un vero peccato.
Bruno
Magnolfi
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