Sto da
solo, nella mia piccola bottega che era di mio padre. Anche quando arriva
qualche cliente, mi fa vedere le sue scarpe, gli spiego il lavoro, quanto
costa, quando saranno pronte, sono comunque solo. Vengono da me perché non c’è
nessun altro nel nostro paese che voglia fare questo mestiere. Ed io intanto
penso. Anche se è stato proprio il pensiero che mi ha fatto ammalare di
solitudine. Metto il mastice, stringo la morsa, metto due chiodini, e intanto penso.
Penso di odiare tutti quelli che non sono di qui, del mio paese, intendo. Loro
le scarpe se le comprano nuove, quando un tacco è consumato. Sono tutti
signori, hanno soldi da spendere, gettano via una cosa quando è consumata, o anche
soltanto perché è sporca. Anche a me butterebbero via, solo potessero. Ed io li
odio tutti quei paesi lì, che non sono il mio paese. Li vorrei vedere tutti
ridotti in miseria, a chiedermi in ginocchio di risuolare le scarpe e a
ringraziarmi, quelli di quei paesi. Perché non meritano niente, neppure un
chiodino a reggere la punta di una suola. Bisognerebbe buttare giù tutte le
loro case, e mandarli in giro senza scarpe, con qualche straccio legato ai
piedi con lo spago.
Viene un
cliente, si è scollata la suola, va bene, dico, o forse faccio solo un cenno
con il capo, domani, gli spiego con la mano, domani è pronta questa scarpa. Nel
mio paese c’è tutta brava gente: vengono da me, riparano le scarpe, mi danno i
soldi che io chiedo. Negli altri paesi, tutti qua attorno, ci sono soltanto
farabutti. Uno è venuto, non lo conoscevo, ha detto che era di Calci, e che se
non si fosse potuto riparare avrebbe buttato tutto via. Ho tenuto lo sguardo
basso, come fossi da solo, l’ho lasciato dire; domani, gli ho detto, forse. Poi
l’ho richiamato. Non si può fare questo lavoro, ho detto con le mani, neanche
domani. E lui ha buttato tutto. Molto meglio. Non voglio fare niente per uno di
Calci. Anche se questo è il mio lavoro. Non mi hanno mai aiutato, quelli di
Calci, anche con mio padre si sono comportati sempre così. Hanno lasciato che
morisse di fame, pur di non farsi rifare i tacchi delle scarpe. Hanno buttato
tutto, e se ne sono comperate di nuove, questi gran signori che abitano a
Calci, o a San Giuliano. Tutti uguali, farabutti.
Ed io
adesso, da solo, penso alla vendetta. La devono pagare, i farabutti, ed
imparare come ci si comporta. La sera faccio un giro con l’ape, mi fermo dentro
una bottega, compro un pezzo di pane ed un cartone o due di vino. Perché non ho
televisione dentro la mia stanza. Solo i miei pensieri, e la mia solitudine,
che sta sempre con me. Ed allora penso che debba vendicarmi, e faccio fuori il
cartone prima di addormentarmi ancora vestito come sono, con le mani secche di
mastice e la puzza ancora addosso di pelle conciata a Santa Croce. Perché sono
loro, i farabutti, che mi hanno ridotto in questo stato. Forse ridono, quando
mi immaginano con l’ape, e non mi portano le scarpe, le ricomprano, i signori
farabutti. Ma io me ne sto da solo, e mi addormento mentre penso che farò
saltare tutti in aria, quelli che se ne stanno in quei paesi, che piuttosto di
far mettere un chiodino o il mastice ad una suola, vanno al negozio e si
comprano delle scarpe nuove. Non dirò niente, non ho bisogno di spiegare niente
a nessuno. Comprenderanno tutto d’improvviso. I farabutti, che mi tengono da
solo in questa bottega, e mi ci farebbero morire, fosse per loro.
Al mattino, mi dico, è già domani, anche oggi, e devo risuolare un paio di scarpe, verrà il cliente, rimarrà sicuramente soddisfatto del mio lavoro, che era di mio padre, che hanno fatto morire di stenti, quando avrebbe potuto lavorare in grande, e riparare scarpe a tutti questi paesi di questa provincia maledetta. Ma loro no, non si sono mai piegati, e allora basta: consegno il paio di scarpe, prendo i soldi, vado alla bottega per il vino, poi faccio un giro a Calci, a vedere i farabutti, che smetteranno di ridere, presto, e di comprarsi scarpe nuove, belle lucide e pulite. Devono impaurirsi, sapere che c’è qualcuno che non li ha mai digeriti, quelli di Calci e di San Giuliano, con tutti i soldi che hanno, pronti per comprarsi scarpe nuove e tutto il resto. Devono vederla la vendetta, nel momento della sua realizzazione, e provare una gran paura, senza neppure immaginare da chi arriva. Perché io sto da solo, in questa piccola bottega, che era di mio padre. Ed ho avuto tutto il tempo di pensarle queste cose, e di capire quale sia sempre stato il mio nemico. Perché un nemico ci dev’essere, qualcuno che mi ha costretto in questa condizione, che mi ha voluto proprio così, e intanto si è comprato delle scarpe nuove, che però non gli serviranno di certo per andarsene lontano.
Bruno
Magnolfi
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