Il mezzo
pubblico mi lascia a poche centinaia di metri dall'ingresso della facoltà di
psicologia, un vecchio ed enorme convento completamente ristrutturato, e lungo
quel breve tratto di strada che percorro a piedi generalmente incontro già
qualche studente che conosco per averlo visto alle lezioni e con il quale per
abitudine non scambio mai alcun saluto, ma con cui sono pronto a fraternizzare
nel caso in cui questo atteggiamento fosse utile al nostro corso di studi
oppure ad altro. Durante l’ultima lezione tutti coloro che seguono gli
insegnamenti di base hanno deciso di incontrarsi oggi all’interno dell’aula
numero otto, la più grande dell’istituto, in maniera da discutere a fondo ed
infine decidere quale posizione tenere nei confronti delle prossime votazioni
dei nostri rappresentanti, e soprattutto a quali conclusioni giungere per
quanto riguarda la situazione universitaria attuale. Personalmente non mi sono
espresso in alcun modo, pochi giorni fa, quando alla fine di una lezione è
stata proposta questa riunione che ritengo piuttosto impegnativa, se non votare
timidamente a favore della sua realizzazione, anche se per semplice alzata di
mano, perché dentro di me ho provato subito un certo interesse a partecipare,
attratto dall’idea di socializzare con coloro che hanno maturato delle idee
politiche abbastanza simili alle mie, e sperando di trovare, all’interno degli
iscritti, un collettivo già costituito di studenti di Sinistra. Se il Magnifico
Rettore e tutti i suoi aiutanti da ora in avanti prosegue, proprio come sembra
fare, a mostrarsi indifferente alle nostre modeste rivendicazioni studentesche,
sono quasi sicuro che presto si andrebbe in piazza per manifestare, e forse si
arriverebbe facilmente addirittura all'occupazione della facoltà. Sono
assolutamente propenso a schierarmi dalla parte di chi porta avanti le svariate
richieste degli studenti, e non provo alcuna remora nell’andare fino in fondo a
ciò che sia necessario fare per ottenere dei concreti risultati.
Così varco
l’ingresso, dopo aver accolto dalle mani di una ragazza sorridente un volantino
che parla di altre cose e che non mi interessa; ci sono già, sulle porte
dell’aula adibita alla riunione, diversi studenti che dibattono qualcosa tra di
loro, ma io chiedo, con una cortesia ignorata da tutti, il permesso per entrare
all’interno, e poi vado subito a sedermi presso una panca rimasta ancora vuota,
non troppo tra le prime file che sono peraltro già occupate, almeno
parzialmente. Circola velocemente una piccola lista di nomi di studenti
iscritti a parlare e a spiegare il proprio parere, e vicino a me qualcuno dice
che purtroppo per le votazioni si dovrà attendere almeno un paio d’ore. Sono
assolutamente propenso a prendere degli appunti, perché vorrei chiarirmi bene
le idee sui vari gruppi di movimenti studenteschi, ed anche se intendo
partecipare già da oggi alle votazioni, vorrei riflettere bene anche in seguito
sulle eventuali affermazioni che avrò sentito fare questa mattina. Dopo qualche
decina di minuti, quasi in sincronia, tutti quanti entrano e si siedono, anche
se il forte parlare di ognuno crea un brusio molto accentuato, che sembra per
adesso quasi impossibile attenuare. Invece basta che il primo studente porti
alla bocca un microfono tra quelli che sono stati accesi sopra la lunga
cattedra che tutti abbiamo di fronte, perché si formi rapidamente un insperato
silenzio.
Ognuno parla della propria
esperienza, e la mette in condivisione con tutti gli altri in modo rapido, così
da dare a chi desidera parlare la possibilità di esprimere i propri pensieri. I
temi sono i soliti, le stesse rivendicazioni che appaiono scritte sui fogli
attaccati ai muri dell'ingresso nella facoltà, e le medesime parole d'ordine
che ultimamente si sentono addirittura scandite anche nell'aria, però adesso si
comincia subito a comprendere la profonda differenza che si insinua sempre più
tra alcuni moderati e gli estremisti di sinistra, e questi ultimi naturalmente
sono coloro che accendono rapidamente tutti gli animi. Dicono che dobbiamo
svegliarci, che nessuno ci regala niente, che la nostra laurea non conterà mai
nulla se non riusciamo noi stessi a riempirla di concreti contenuti. Molti
annuiscono, altri affermano il proprio consenso a voce alta, applaudendo ad
ogni passaggio e mostrando tutto il loro sostegno. Poi arriva davanti al
microfono un tizio qualsiasi, uno come potrei essere io, e con una voce scura,
sottotono, senza minimamente urlare, dice che la situazione appare seria, e se
non cerchiamo di comprenderla fino in fondo daremo la possibilità alla Destra
di relegare noi tra gli ultimi, come se il nostro impegno e i nostri studi si
mostrassero alla fine del tutto inutili.
Dice di chiamarsi Gianni, e
finito di parlare si allontana subito dalla cattedra dei docenti, perché adesso
qualcun altro ha preso il microfono, e lui viene a sedersi ad un paio di file
dal mio posto, senza che nessuno si complimenti per il suo intervento. Allora
mi alzo, prendo le mie cose, vado vicino a Gianni, gli dico in due parole che
lui ha detto esattamente le stesse cose che avrei voluto dire io. Mi guarda, sa
che è importante in certi casi trovare un collante tra di noi, così dice tra i
denti che la lotta non sarà né facile né breve. <<Non importa>>,
dico io, <<l'essenziale credo sia trovare la maniera per batterci, il
resto lo vedremo nel prossimo periodo>>.
Bruno Magnolfi
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