Ognuno ha
un soprannome, in questo ambiente. A me hanno affibbiato subito quello di
Freddy, e siccome sono l’ultimo arrivato, tutti mi chiamano da ogni parte e non
mi lasciano neppure il tempo per riuscire a respirare. Poi mi dicono di andare
in via Scialoja solo per tre pizze, visto che a nessuno interessa fare una
scarpinata fino lì per una sola consegna. Mi battono una mano sulla spalla
ridendo, mi caricano lo zaino contenitore, e via, di corsa sui pedali. Resto
collegato con gli auricolari nella speranza che mi richiamino indietro per
aggiungere qualche altra consegna da effettuare nella zona, ma non succede
niente del genere, e allora vado avanti, senza mai voltarmi. L’indirizzo mi
ricorda qualcosa, ma è come un elemento remoto nella mia memoria, e non ci
faccio neppure troppo caso. Invece, quando arrivo sul posto, mi rendo subito conto
che il palazzo è proprio quello dove abita Cristina con i suoi genitori.
Secondo piano, mi hanno detto in sede, ma il portone sulla strada è chiuso,
così faccio suonare il campanello e subito scatta l’apertura elettrica per
farmi entrare. Salgo le scale con il fiato grosso, e quando giungo sull’ampio
pianerottolo, lei è lì, davanti a me, che mi guarda con sorpresa e con un
inizio di sorriso sulle labbra. <<Ciao>>, dico sprecando quasi
tutta l’aria che mi è rimasta nei polmoni; <<ti ho portato le
pizze>>. Lei si avvicina, mi accarezza il viso, ma capisco che vorrebbe
anche abbracciarmi, se solo fossi meno sudato e accaldato, come dimostro con grande
evidenza. <<Sono contenta di vederti>>, dice Cristina mentre mi
aiuta a liberarmi dallo zaino e a prendere i cartoni. <<Anche io>>,
dico in un soffio.
Lei tira
fuori i soldi, ma io ormai mi sento immobile, incapace di fare o dire qualsiasi
altra cosa. Forse vorrei restare così, davanti a lei, per almeno una mezz’ora,
magari anche di più. Mi angoscia pensare che questa sia davvero la mia
occasione buona per ricucire i rapporti con questa ragazza che ho di fronte, e
per nessun motivo al mondo vorrei sprecarla per stupida timidezza, o per chissà
cos’altro. Cristina mi mette nella mano alcuni soldi, forse dovrei anche fare
il resto, ma sono completamente imbambolato, e non so più neanche riflettere su
quello che sto facendo o che invece dovrei fare. <<Ho tanta voglia di
baciarti>>, le dico senza misurare affatto le parole; ma lei sorride
ancora di più: <<tieni pure il resto>>, mi dice svelta; poi si
avvicina e mi sfiora la bocca con le labbra. Soltanto un attimo più tardi
arriva alle sue spalle il padre di Cristina, ed io rientro immediatamente nel
mio ruolo; impacciato, stordito, incapace come sono, mi carico di nuovo il
contenitore sulle spalle. <<Grazie, buonasera, arrivederci>>, dico
senza dare importanza alle parole, e torno svogliatamente a scendere le scale,
mentre lei, passati i cartoni a suo padre che sparisce nell’appartamento, resta
sulla soglia a guardarmi andare via, silenziosa, immobile, forse felice di
questo nostro inaspettato incontro. Mi volto: <<adesso il mio nome è
Freddy>>, dico tanto per ridere, anche se mi rendo subito conto di aver
fatto bene a calcare la variazione. Poi sparisco.
L’amore è solo egoismo, dicono in
molti, però la vertigine che riesce a provocare ti fa dimenticare persino chi
sei e che cosa stai facendo. Prendo un giro largo e lento con la mia
bicicletta, mentre negli auricolari hanno già cominciato di nuovo a chiedere di
me: <<Freddy, Freddy>>, urlano per chiamarmi, come sapessero già che
me la sto prendendo comoda, cercando di farmi passare questa sbronza che sembra
qualcosa che mi attanaglia persino i muscoli. Infine, rientro in sede, e i tre
o quattro ragazzi che sono presenti mi guardano come se vedessero un fantasma.
Poi prendo i dati della prossima richiesta, sperando quasi per assurdità che
Cristina voglia ordinare ancora delle pizze, e mi permetta di trovarla di nuovo
in cima a quelle scale, dolce, bellissima, meravigliata del mio arrivo nei
panni di un ragazzo pieno di buona volontà. <<Siamo tutti degli
sciocchi>>, penso all’improvviso a voce alta, e chi mi è accanto adesso
mi guarda con ancora maggiore incredulità. Carico il contenitore, lo metto
sulle spalle, guardo l’indirizzo; quando mi avvio con la bicicletta tutto
d’improvviso è più leggero, e sparisco nella notte cittadina rincorso da
qualche macchina e da un mezzo pubblico vuoto per metà. <<Ci sono delle
speranze>>, rifletto; <<non credevo che mi importasse così tanto di
Cristina, ma ora che qualcosa si è sbloccato so con certezza che dovrò fare di
tutto per evitare di farla allontanare ancora da tutti i miei pensieri>>.
La serata è ancora lunga: bici,
pizze, soldi, facce ignote, indirizzi da cercare, campanelli da suonare, mance,
saluti, portoni chiusi alle mie spalle. Un filo sottilissimo lega i miei gesti
a quelli di una ragazza come lei, forse come tante, ma che si dimostra essere
tutto il mio sostegno adesso, l’impulso vivo a migliorare, a cercare in me
anche la sua preziosa approvazione, l’unica che spesso sembra mancare nelle mie
giornate, mentre nella testa sento la sua voce ridente che mi chiama:
<<Freddy, Freddy>>, e subito col pensiero so di volare verso lei.
Bruno Magnolfi
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