A lei piaceva ballare, senza mettersi
comunque mai troppo in mostra, ed ogni volta che un'amica, oppure qualche
comitiva di ragazzi della sua scuola la invitava, generalmente durante qualche
sabato pomeriggio, magari per andare a festeggiare un compleanno o una
ricorrenza dentro ad una casa libera dai genitori ed almeno con una stanza
vuota, oppure in qualche magazzino adibito per l’occasione a sala da ballo,
proprio come usava all'epoca, Celeste accettava sempre volentieri. Era più
forte di lei quel lasciarsi dondolare sul tempo dei ritmi di moda, anche se non
le importava niente, ed anzi lo evitava, lo strusciarsi contro qualcuno che si
capiva subito a cosa mirasse, oppure quel lasciarsi andare nel corso di certi
balli lenti dove si stava persino troppo stretti e sacrificati. Era la musica
l'elemento da cui era trascinata, nient'altro: quel continuo adeguarsi al
fluire degli strumenti musicali di ogni disco che veniva fatto suonare, e poi
muovere la testa e le braccia in sincrono con ogni melodia riconoscibile, in
quel semplice reticolo di accordi, ed infine girare in ogni direzione sopra al
pavimento, muovendo i piedi su un ritmo di base magari molto incalzante, e poi
continuo, quasi un flusso, come nella ricerca di una breve e intensa
ossessione. Naturalmente, alcune canzoni erano più adatte di altre per giungere
velocemente a quelle sensazioni di abbandono che a lei piacevano tanto, ma in
ogni caso qualsiasi ritmo sostenuto le andava bene per muoversi subito in
sintonia con le onde sonore. La musica la prendeva in tutto il corpo, non
poteva assolutamente fare finta di ignorarla, e la sezione ritmica dei brani
scelti in quei momenti a suo parere era il fulcro attivo attorno a cui ruotava
tutto il mondo.
<<Celeste>>, le diceva
in quei casi la sua amica del cuore mentre la osservava con gli occhi sgranati;
<<ma non riesci proprio a stare ferma>>, e lei sorrideva e poi proseguiva,
senza rispondere niente, a dimostrazione chiara del trasporto a cui si lasciava
andare così volentieri. Davanti alla scuola magistrale, a maggioranza
femminile, generalmente in molti tra tutti quegli studenti maschi che
frequentavano invece gli istituti tecnici, quei ragazzi amavano farsi vedere
all’orario di uscita dalle classi, almeno quando questo era possibile, proprio
perché quelle ragazzine, specialmente al primo anno, un po’ impacciate e che si
intuiva amassero i bambini, evidenziavano un carattere particolarmente dolce,
una grande pazienza, e soprattutto un immenso spirito di comprensione verso
qualsiasi altro individuo, e stuzzicavano facilmente così la fantasia di quei giovanotti
forse rimasti ancora troppo piccoli. <<Celeste>>, la chiamava al
semplice suono della campanella, dal fondo dei gradini che immettevano al
pesante portone dell’ingresso, un allievo dell’istituto per geometri che
rimaneva da lì proprio poco distante. Lei sorrideva, scendeva la breve scala
con i suoi libri sottobraccio, poi si lasciava accompagnare fino alla fermata
del suo mezzo pubblico, discorrendo con lui di cose semplici, della mattinata
trascorsa tra i compiti e le interrogazioni, e con la descrizione caricaturale
di qualche insegnante strano.
Le piaceva a quell'epoca avere
qualcuno intorno che dimostrasse di provare una forte simpatia per lei, per
quei suoi comportamenti, per quella stessa maniera socievole di presentarsi a
tutti, che a lei tornava comunque talmente naturale da non riuscire quasi in
nessun caso ad essere diversa. Un amico; era stata chiara fin da quando lui
l’aveva avvicinata, perché Celeste, pur al primo anno, aveva già a quell’epoca
le idee chiare su tutto il suo percorso. Quel ragazzo accettava i suoi
comportamenti, forse gli era sufficiente farsi vedere dagli altri mentre andava
ad aspettare fuori dal portone quella ragazza carina, sempre sorridente, e
quindi darsi delle arie e sentirsi impegnato quasi come se tra loro due fosse
scoccata una vera storia d’amore. Per lei era meraviglioso avere qualcuno che
le facesse la sorpresa di accompagnarla, e forse le cose tra i due andavano
bene già così. Lui era goffo a ballare, e quando quella volta erano andati
assieme ad altri in una soffitta grande con le luci oscurate per favorire
l’intimità, Celeste aveva sorriso un po’ osservandolo. Gli amici sembravano non
accorgersi affatto di quella amicizia un po’ particolare, ma naturalmente
ognuno era libero di fare ciò che più desiderava.
In seguito, loro due si persero,
come spesso succedeva a quell’età, anche se la sensazione di vicinanza e di comprensione
che lei aveva provato durante tutto quel periodo, non fu facile da lasciare
così alle proprie spalle, nonostante quel ragazzo avesse trovato degli altri
giri, delle altre amicizie, e forse anche una ragazza vera, con la quale dar
seguito ad esperienze più sentimentali. Celeste, non ebbe mai comunque dei rimpianti:
le piaceva mostrare amicizia con chiunque, ed era convinta di essere troppo giovane
per iniziare con delle esperienze per cui non si sentiva ancora pronta. E poi,
a parte il ballo, almeno in quel periodo, a lei sembrava non interessasse
proprio altro di tutto quello che avrebbe potuto offrirle uno sbarbato con dei
brufoli evidenti sopra la propria faccia.
Bruno Magnolfi
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