Sdraiato nel mio letto, con le
coperte tirate su fin sotto gli occhi, i muscoli distesi, e tutto il corpo
rilassato, non so se la mia mente sia permeata dai pensieri, oppure da un
rincorrersi di sogni. Navigo lontano da qui, non ho quasi interesse per ciò che
gira attorno a me, so che mi cullo da qualche parte dove probabilmente non sono
neanche mai stato precedentemente, ma che immagino sia adesso come il luogo
perfetto, dove nessuno grida, e dove la calma che desidero tanto resta proprio
qui, vicino a me, senza necessità di essere cercata. Certe volte ho creduto che
la mia vita vera non fosse quella che stavo realmente vivendo, e che il mio
fosse solamente un andare avanti pari al normale accontentarsi di quello che
ciascuno è capace di creare per sé stesso, mettendo da parte, almeno per
qualche tempo, le speranze più inavvicinabili. Purtroppo, il passare dei giorni
e degli anni dimostra quotidianamente che ciò che abbiamo accettato poco per
volta forma lentamente una scorza molto dura, depositando ogni strato via via
più inattaccabile, quasi un sentiero tracciato e definito, dal quale il nostro
passo incerto non può più permettersi in futuro di deviare. Così credo adesso
che nulla potrà cambiare nel corso che una volta per tutte ho dato ai miei
giorni, se non peggiorando nel presentare malattie, guai di ogni genere,
preoccupazioni e acciacchi personali vari. La mia famiglia è un corpo rigido
dalla superficie non scalfibile, con un numero di componenti perfetto e sempre
proiettato verso il futuro, quasi una macchina ben lubrificata capace di
superare di slancio qualsiasi ostacolo, anche se il basamento su cui si regge
dimostra spesso scarsa stabilità.
Se guardo mia moglie, sdraiata nel
letto accanto a me, mi appare quasi distante, persa dietro a dei pensieri
semplici che oramai non mi rivela neanche più, tanto è sicura che io non li
comprenda. I miei figli poi, appaiono continuamente alla ricerca della loro
strada, e restano ancora in questa casa solamente per quella evidente
convenienza ad essere accuditi e mantenuti, tanto che appena sarà loro
possibile è evidente che prenderanno il volo, come passerotti a cui per qualche
giorno è stata curata una zampina o un’ala, ed infine sono poi guariti. Non si
può fare niente, le cose stanno in questo modo, nessuno sembra capace di
fermare il susseguirsi degli eventi, ed anche se all’interno delle mura
domestiche regna certe volte qualche palpabile incomprensione, tutto ciò ha
poca importanza di fronte al fatto che ogni dettaglio perderà presto di senso,
sfumando in un lento e inevitabile proseguire delle cose. Perciò resto nel
letto, ad osservare imperterrito intorno a me ciò che non c'è, e che
probabilmente non saprei neanche descrivere, restando tanto diverso da quanto
sono convinto di conoscere.
<<Achille>>, dice
Celeste qualche volta. <<Come ti senti?>>. Ed io mugugno una
risposta di buon senso, che almeno non le permetta di porre altre domande. Ma
lei insiste, chiede se possa almeno fare qualcosa per alleviare le mie preoccupazioni,
supponendo che io sia preoccupato per qualcosa, ed io però non so che dirle,
non trovo niente del genere che lei vorrebbe sentirsi rispondere, niente che
possa essere d’aiuto a me e forse anche a lei. Non posso affrontare davvero gli
argomenti che talvolta mi tormentano. Non posso spiegarle cosa c’è che non va
tra me e lei, perché neppure io so cosa sia. Magari mi piacerebbe che lo
capisse per conto proprio, e che fosse meno premurosa, meno presente in
qualsiasi attimo, meno appassionata come appare ai destini di tutta questa
casa. Poi mi sento in colpa, e so che Celeste è la persona che tiene in piedi
tutto quanto, ed il suo altruismo è tale che nessuno tra queste mura domestiche
può avere il diritto di lamentarsi. Mi giro dentro al letto cercando un’altra
posizione, ma lei si alza, vaga per la nostra camera forse cercando chissà cosa
per prendersi maggiormente cura di me; infine va di là, nell’altra stanza, ed
io immagino che i suoi desideri siano proiettati sempre verso il medesimo
scopo, anche se non so comprendere del tutto quali siano, e poi neppure mi sento
troppo interessato al suo frugare negli armadi alla ricerca di qualcosa che non
sta trovando, e che comunque si dimostrerà del tutto inutile.
Infine, torna a letto, dopo essere
stata dentro al bagno, per lavarsi i denti immagino, visto che nell’aria
avverto un vago odore di mentolo. Capisco la sua preoccupazione nei miei
confronti: devo guarire in capo a pochi giorni o fra qualche settimana. La mia
depressione deve restare presto alle spalle della nostra famiglia, e tutto
riprendere esattamente com’era fino a poco fa. Ma non è facile che accada tutto
questo così come lei vorrebbe; ed è anche la noia che adesso si è affacciata
sulla mia giornata a rendere ogni cosa più difficile. <<Devo tornare al
lavoro>>, penso adesso con lucidità. <<Sarà sempre meglio che
restare ancora a lungo in questa casa, lasciando che lei si occupi di me per
tutto il giorno>>.
Bruno Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento