Sempre
più spesso provo la voglia di uscire da qua dentro. Farmi un giro, prendere
aria, magari incontrare qualcuno, proprio come penso faccia ogni giorno mio
fratello, che è sempre stato indifferente allo starsene nel chiuso a riflettere
le proprie cose, o a cercare la propria intimità. <<Stai uscendo,
Marco?>>, chiede la mamma osservandomi sorpresa, poco abituata com'è nel
vedermi sortire di casa durante le ore serali. Mi fermo, annuisco, penso di non
avere bisogno di convincere la sua intelligenza di qualcosa, devo soltanto fare
quello che per me reputo giusto in questo momento, senza dare alcuna
spiegazione. Indosso una giacca, prendo le chiavi, osservo la porta alla fine
del corridoio, e poi vado, senza pensarci più. Scendo le scale condominiali, i
muscoli delle gambe si riscaldano leggermente, le mie mani accarezzano l'aria
come sensori, pronte a captare qualsiasi variazione intorno a me. C'è un locale
alla buona, poco lontano, dove si può bere una birra ed ascoltare musica, senza
alcuna necessità di parlare con qualcuno. La strada mi sembra scostante, in
giro c'è qualcuno con un cane, altri appaiono immobili alla fermata del mezzo
pubblico. Credo che la sensibilità sia per tutti un elemento fondante. Ci si
impegna al massimo per comprendere i segnali che ci possono raggiungere e che
richiedono da noi una mutazione rapida di comportamento.
Infine,
passo sotto un'insegna che riporta una pubblicità banale, ed entro nella
birreria. C'è gente, ma non troppa, così mi siedo su una panca di legno quasi
libera, e dopo poco, sul tavolo su cui ho appoggiato un braccio, mi faccio
servire una rossa che pago subito, così come viene richiesto. Un ragazzo di
fianco a me fa il simpatico urlando qualcosa a una ragazza che ha di fronte,
mentre due tizi, dall'altro lato del locale, suonano qualcosa con le loro
chitarre e le voci amplificate. La ragazza mi guarda, studia il mio profilo.
Poi dice con voce alta che mi ha visto all'università, così le sorrido mentre
annuisco, ed infine le chiedo che facoltà frequenti. <<Lettere moderne>>,
mi dice, ma poi evita di chiedere la stessa cosa a me, ed io le sono
riconoscente anche per questo. Però, quando il ragazzo si alza per salutare
degli amici, lei torna a guardarmi, e poi avvicinandosi mi spiega che purtroppo
non si sta trovando bene nel seguire le lezioni. <<Sono tutti scostanti i
miei compagni>>, dice; <<nessuno ha voglia di formare dei gruppi di
studio, o prestarmi i loro appunti, o anche scambiare qualche informazione sui
seminari, sugli assistenti, oppure sul docente. Ognuno sta per conto proprio, e
a me almeno un po' dispiace questo atteggiamento>>. Lascio cadere
l'argomento senza recriminare nulla, però poco dopo le chiedo se non sia tutto
il polo umanistico, di cui fanno parte le nostre facoltà, a deludere le proprie
aspettative. Lei mi guarda con maggiore attenzione adesso. Alla fine, dice semplicemente
che comunque non sa se parteciperà alla manifestazione di ateneo. <<Però
ci sono dei problemi, per chiunque>>, insisto io. <<Va
bene>>, fa lei, <<però occupare l’università mi pare eccessivo; ed
io su questo non sono d'accordo>>. Sorrido, lo immaginavo; torna il suo
amico, ed io guardo qualcosa sul palco dove continuano a suonare.
Dopo
poco la ragazza ed il suo amico si alzano dalle panche per andarsene, e lei mi
fa: <<Ciao, io comunque mi chiamo Tiziana>>, così torno a sorridere
mentre le stringo di fretta la mano e le rivelo di chiamarmi Marco. Ho quasi
finito la mia birra, e non ho nessuna intenzione di ordinarne un'altra, perciò poco
dopo mi alzo anch'io, compio il giro del locale come per vedere se ci fosse
qualcuno che conosco, ed infine mi soffermo davanti ai tizi che proseguono a
suonare con impegno. Poi esco. Penso che questo, per il bisogno di socialità
che riesco a dimostrare, non sia un locale adatto a me. Parlare in maniera superficiale
non è un'attività che si adatta molto ai miei modi di fare, e poi farlo nel
mezzo a suoni e rumori di ogni tipo non appaga praticamente niente della mia
curiosità. Compio un ampio giro senza una meta precisa, comportandomi quasi
come se avessi un cane in fondo ad un guinzaglio, e lo dovessi portare un po' a
passeggio come fanno tanti altri. Poco distante dal locale incontro di nuovo la
ragazza, che adesso sta insieme a quattro o cinque persone a ridere
sguaiatamente, ferma insieme a loro sopra un marciapiede, e quando le passo più
vicino mi fa: <<Marco, il mondo è piccolo, ti va di fare due passi
insieme a noi?>>. Non trovo alcuna scusa che giustifichi un rifiuto, così
mi accosto a Tiziana mentre penso che forse una conoscenza come lei nell'ambito
universitario possa sempre essere utile. Mi fermo, lei mi prende per un
braccio, poi mi dice: <<sei un tipo ombroso, mi pare. Però devi saper riflettere
le cose in modo molto compiuto, e questo mi piace>>. Sorrido, non capisco
di preciso cosa abbia voluto dire, o se alludeva a qualcosa di preciso, in ogni
caso va tutto bene, e se scambio due parole con qualcuno, adesso che è
possibile, non mi sembra proprio un male.
Bruno
Magnolfi
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