Mio padre,
questo fine settimana, non è tornato a casa. La mamma sembra tranquilla, non ha
fatto cenno alla sua assenza, ma io immagino che ci siano dei problemi a cui adesso
lei non vuole minimamente accennare. Stamani sono andato a scuola come sempre,
ancora più rassegnato nel mio ruolo di bambino silenzioso e solitario, schivo,
si sarebbe detto in seguito, praticamente un isolato, quasi al limite della
patologia. Come al solito nessuno mi ha detto niente, ed io ho raggiunto il mio
banco assegnato appena dopo il suono della campanella di inizio delle lezioni.
La maestra ha fatto l’appello come ogni giorno, poi mi ha guardato a lungo,
come desiderasse dirmi qualcosa, ma senza trovare la cosa giusta da dire, ed
infine mi ha chiesto di accomodarmi davanti alla lavagna per scrivere là sopra
qualcosa con il gesso. Alcuni numeri, qualche operazione matematica, cifre che
gli altri intanto ricopiavano sui loro quaderni a quadretti. Poi mi ha fatto
una domanda della quale non conoscevo la risposta, perciò sono rimasto in
silenzio, imbarazzato, davanti a tutti che intanto già si davano di gomito. Ma
lei ha detto di tornare a sedermi, dando poca importanza alla mia lacuna, e da
questo semplice ed insolito comportamento ho capito che qualcosa stava
seriamente cambiando.
Quando sono
tornato a casa, dopo la scuola, ho chiesto alla mamma quale fosse il motivo per
cui il papà non era tornato a casa dai suoi lunghi viaggi di lavoro con
l’autocarro, ma lei si è limitata ad alzare le spalle e a non rispondere
niente, come se non avesse delle notizie sicure su questo argomento. Ho subito
immaginato che presto si sarebbe iniziato a parlarne anche tra i miei compagni,
e questa situazione sarebbe diventata rapidamente un motivo in più per
canzonarmi e prendermi in giro, così ho cercato di preparare già una risposta
adeguata da dire. Nel pomeriggio sono andato nel negozio dei generi alimentari per
fare alcuni acquisti per la mamma, ma nessuno mi ha chiesto niente. In seguito,
ho fatto un giro fino alla piccola piazza di questo paese, e lì ho incontrato
due compagni di scuola che si scambiavano delle figurine di giocatori di
calcio. Hanno riso, vedendomi arrivare, ed io ho capito subito che già loro avevano
chiaro che mio padre ormai non abitava più a casa nostra, così mi hanno voltato
le spalle ancora ridendo, e se ne sono andati per i fatti loro.
Durante la
notte, mentre stavo nel mio letto cercando di dormire, ho fatto incursione nel
mondo dei grandi, piombando d’improvviso davanti a me stesso ormai adulto nel
momento in cui lui sta svolgendo il suo lavoro di portiere di notte di un
albergo, e dopo qualche minuto, in attesa che mi chiedesse qualcosa, gli ho
fatto presente che mio padre era assente da casa. <<Non ricordo cosa
fosse accaduto>>, ha spiegato lui, <<forse un semplice contrattempo
con l’autocarro, un guasto, una merce non ritirata, qualcosa del genere>>,
ed io ho annuito nel rendermi conto che neanche lui forse aveva desiderio di
farmi preoccupare. C’era una donna, seduta nella caffetteria dell’albergo, una
persona vistosa, abbigliata in un modo eccentrico, che mi ha lanciato comunque un
gran sorriso, anche se non mi ha chiesto nulla. Quando mi sono svegliato, ho
capito che non era proprio il caso di preoccuparmi, e che, se i miei compagni
di classe avessero deciso di prendermi in giro una volta di più per questa
faccenda di mio padre, io non li avrei assolutamente assecondati, limitandomi
ad ignorare le loro battute spiritose. Il mio compagno di banco invece ha
voluto strafare, e durante la ricreazione ha detto agli altri, con voce alta,
che <<nemmeno suo padre vuole più stare con lui>>, mentre mi
volgeva le spalle. Ho atteso che si girasse verso di me per esaminare la mia
espressione, e a quel punto gli ho mollato un pugno sulla faccia, quel medesimo
gesto che tenevo represso in me da tanto tempo.
Naturalmente
lui è andato a terra, e gli sanguinava anche leggermente la bocca, così ha
iniziato immediatamente a piangere e a lamentarsi. È intervenuta svelta la
maestra, ma visto che tutti avevano iniziato a dire che era stato solamente un
incidente, lei ha fatto rialzare da terra il mio compagno di banco, si è resa
conto che in fondo non c’era niente di grave, giusto un taglietto sul labbro, e
così ha fatto a tutti una raccomandazione generica e basta, senza preoccuparsi
di me. Non capisco perché tutti gli altri non abbiano immediatamente infierito
contro di me, ma forse ciò deriva dal fatto che all’improvviso si sono resi
conto che io, se lo desidero, posso essere diverso da chi risulta capace soltanto
di incassare in silenzio quello che loro vogliono, e che, se proprio mi va,
riesco anche a ribellarmi e a menare, se è il caso. Credo così di avere facilmente
ottenuto una piccola forma di rinnovato rispetto, anche se, già me lo immagino,
questa nuova veste non durerà molto tempo.
Bruno
Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento