Ormai è
tardi, e quindi tutti i clienti di questo albergo sono già rientrati nelle loro
camere, tanto che ad un portiere di notte come sono io non resta altro che
rimuginare sulle proprie cose, e poi perdere tempo girellando tra gli spazi del
ricevimento, quelli della caffetteria, ed anche tra gli ampi divani
dell’ingresso, con la sua elegante porta vetrata che si apre proprio su una
piazzetta storica della città. Mi sento la testa vuota e leggera, quindi evito
di pensare ancora ai tempi della scuola e alle faccende legate a quel periodo,
convinto che d’improvviso, una di queste notti, scapperà di nuovo fuori dalla
mia mente l’immagine di quel ragazzetto coi calzoni corti che all’epoca non
sapeva comportarsi adeguatamente con i suoi compagni, tanto da trascorrere la
maggior parte del tempo in solitudine. Si avvicina invece una donna alla porta
dell’albergo, la vedo mentre con lentezza si accosta ai vetri e poi bussa
leggermente con le nocche di una mano. Si comprende al volo dall’abbigliamento
che si tratta di una prostituta, ma il fatto che tiene sulla testa un cappello piuttosto
stravagante, e che poi porti una borsetta infilata ad un braccio di una certa
inedita eleganza, mi incuriosisce subito, al punto che, mentre mi avvicino alla
porta, premo il pulsante di sicurezza che fa scorrere immediatamente ai lati le
due grandi vetrate. <<Buonasera>>, dice lei per prima, e poi
attende sulla soglia che io faccia la mia mossa, che le chieda qualcosa magari,
oppure le proponga una piccola conversazione superficiale e senza impegno.
Invece io resto in silenzio, non con uno sguardo indagatore su di lei, ma
concedendole la possibilità di dire ciò che crede, limitandomi a sorriderle.
<<Non
le creo fastidio>>, dice la donna con un certo tatto, ed io, che non so
bene che cosa risponderle, la invito con un gesto della mano ad accomodarsi,
come se fosse la benvenuta in ogni caso. <<Le posso offrire un
caffè>>, le dico con voce pacata. <<Ma certo>>, risponde lei
come se fosse venuta fin qui soltanto per questo, ma non dando comunque troppa
importanza alla cosa. Poi si accomoda in caffetteria, ed io manovro subito la
macchina, e lei senza guardarsi attorno si siede e dice subito che nel passato
aveva l’idea di fare soldi in fretta, ma alla lunga quelle intenzioni sono del
tutto tramontate tra i suoi desideri. <<Non mi interessa più nulla di
tutto questo, ed adesso mi incontro ancora con gli uomini, ma solo quando mi
va, e spesso lo faccio a titolo gratuito, considerato che mi basta scambiare
con loro quei pochi minuti di intimità, e magari scambiare qualche parola con
chi ha voglia di raccontarmi di sé>>. Annuisco con serietà, anche se
rimango stupito di questa apertura iniziale, pur comprendendo che lei stia
tentando di chiarire immediatamente tutte le possibili domande che potrebbero
nascere nella mente di una persona come me. Resto colpito, in ogni caso, e in
un attimo mi sento fuori luogo, come se le sue esperienze e le sue prese di
posizione nella vita fossero estremamente al di sopra di qualunque congettura personale
io avessi mai fatto.
Lei
ringrazia prendendo la tazza del suo caffè che adesso le porgo, ma si vede che
non è per conversare se adesso si trova qui di fronte a me. Non riesco a
formulare alcuna domanda, e neppure a dire qualcosa per riempire questo
silenzio insolito della notte, che sembra allo stesso tempo ci abbracci ambedue,
e contemporaneamente ci sovrasti. Lei mi guarda, senza sorridere, senza
espressione, ed io mi sento piccolo di fronte ad una donna così, tanto che
vorrei quasi inventare una scusa per tornare dietro al banco del ricevimento, e
riprendere in questo modo il ruolo che mi è più congeniale. <<Lei ha dei
rimpianti?>>, mi chiede invece questa donna interessante, lasciandomi
tutto il tempo che desidero per riflettere e quindi risponderle con calma.
<<Forse>>, dico io; <<però credo che la mia personalità si
sia formata tutta piuttosto precocemente, ai tempi della scuola elementare, e che
per questo qualche volta ancora me la prendo con quel ragazzetto che dovevo
essere in quel periodo, come se avesse colpa lui di quello che in seguito sono
diventato>>. La donna mi guarda, forse comprende benissimo tutto questo,
ma evita qualsiasi facile giudizio, e lascia anzi che io possa aggiungere
qualcosa, se solo ne avessi la voglia. Restiamo in silenzio qualche altro minuto,
ma non avverto alcuna distanza tra me e lei, tanto che mi avvicino a lei per un
attimo, e poi le sfioro una mano, quasi per ringraziarla di essere giunta qui,
in questo luogo desolato.
Lei sorride
un attimo, abbassa lo sguardo, poi riprende la sua borsetta, appoggia la
tazzina vuota e dice che adesso è meglio se va via, ma mentre si alza aggiunge:
<<in fondo, quello che ci volevamo dire, ce lo siamo già detto>>, e
così si avvia verso la porta vetrata. <<Arrivederci>>, le dico in
fretta quasi per cercare di trattenerla ancora per un attimo, ma lei non si
volta, dice soltanto: <<mi rivedrà, certo, se solo lo desidera>>,
ed io aziono l’apertura. Vorrei quasi piangere mentre la osservo scivolare lenta
nella notte cittadina e allontanarsi con tranquillità, ma non saprei proprio spiegare
il motivo per lasciarmi andare ad una cosa di questo genere.
Bruno
Magnolfi
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