Negli ultimi tempi,
quando mi trovo da solo a tarda ora, praticamente senza avere niente da fare,
qui al ricevimento dell’albergo dove svolgo il ruolo di portiere di notte,
alcune volte mi impongo di camminare lentamente attraverso i vari ambienti del
piano terra, dove si apre il vasto
ingresso, la caffetteria, una saletta per il tè, ed anche altri locali, con gli
occhi sempre ben chiusi, cercando di ricordare perfettamente l’ubicazione dei
mobili nello spazio, ed anche la struttura del resto, evitando naturalmente di
sbattere contro qualcosa. Non so bene per quale motivo mi trovo a compiere
questi esercizi, però mi sembra in questo modo di affinare ad esempio la
sensibilità nei confronti dei più piccoli rumori che avverto, e poi anche di
allenare la memoria, oltre allo sforzo di visualizzare dentro di me ogni
particolare di questo luogo. E altrettanto naturale che io attenda, da un
attimo all’altro, anche di sentire giungere d’improvviso, uscendo fuori come fa
sempre da chissà dove, il mio piccolo amico che viene spesso a trovarmi, facendosi
vivo come sempre dalla rassegna dei ricordi che conservo di quando ero piccolo.
<<Ciao>>, gli dico subito appena lo sento arrivare, perché non ho
neppure necessità di vederlo, tanto la sua presenza è forte; <<Stavo
giusto cercando di concentrarmi al massimo, tenendo gli occhi chiusi, per
avvertire la tua possibile presenza>>. <<Certo>>, fa lui,
<<adesso sembra quasi che tu non ce la faccia più a startene da
solo>>, mi dice con ironia.
<<Ma no>>, faccio io, <<non è per
questo; è che ogni tanto ho voglia di rammentare i tempi della scuola, belli o
brutti che siano stati>>. Lui mi guarda un momento, adesso che tengo i
miei occhi spalancati, poi dice: <<Come se tu riuscissi ad essere
nostalgico dei tempi andati, quando avevi la mia età>>. Rifletto un
momento, in effetti non sono mai stato nostalgico, e se spesso mi sono
ritrovato a riflettere su quegli anni è soltanto per cercare di comprendere
meglio da dove sono cominciati i miei tanti errori. <<Come fai ad essere
qui con me tutte le volte che lo desideri?>>, gli chiedo; <<e poi
com'è possibile viaggiare nel tempo con questa facilità, tanto più che gli
abiti che in questo periodo ti porti addosso, non mi pare di averli mai avuti,
ad esempio>>. Lui sorride, poi fa una specie di giravolta su sé stesso,
ed infine arriva la risposta: <<Io sono dentro di te, sei tu che mi
chiami, è la tua mente che crede sempre di vedermi, ma sono soltanto i tuoi
pensieri e i tuoi ricordi che compongono la mia figura e ciò che faccio, è
soltanto questa la spiegazione giusta>>.
Mi volto, non avevo compiutamente riflettuto ad una
cosa di questo genere, credevo che questo ragazzetto che ho di fronte potesse quasi
esistere di vita propria, non che fosse composto da quello che la mia
immaginazione mi fa credere di lui. <<Va bene>>, gli faccio;
<<e cosa sai raccontarmi di diverso da quello di cui sono già a
conoscenza?>>. Lui ci riflette a lungo, sembra quasi cercare tra i suoi
pensieri qualcosa che posso aver tralasciato quando avevo la sua età, ma che
adesso potrebbe risultare importante, o addirittura decisivo. Invece dice
semplicemente: <<Sono andato al piccolo parco dei divertimenti, poco
lontano dalla scuola, giusto ieri pomeriggio, e mentre stavo sopra l’altalena a
dondolarmi lentamente senza fare altro, ho sentito alle mie spalle un
movimento, proprio in un attimo in cui immaginavo di starmene da solo. Diversi
ragazzi dietro di me, in silenzio e senza dire niente neanche tra loro, hanno
rapidamente iniziato a spingermi, tanto che l’altalena ha acquistato subito
velocità, al punto che mi sono trovato di colpo nell’impossibilità di scendere.
Ridevano, si eccitavano allo scherzo, e poi continuavano a spingere ad ogni
oscillazione, tanto che oramai ero quasi sicuro che sarei caduto da un momento
all’altro. <Chiedi pietà>, ha urlato uno di loro senza che io sia stato
capace neppure di riconoscerlo, mentre intanto, pur volando altissimo, proseguivo
a mantenere quel silenzio che credo sia la mia caratteristica. Poi ho deciso di
gettarmi di sotto, anche per non sentirmi più schernito, tanto che mi sono
spostato in avanti reggendomi soltanto oramai con le sole mani alle catene
dell’altalena, ma è stato proprio allora che quei ragazzi probabilmente hanno
avuto paura che mi facessi male sul serio, e che forse in seguito potessi denunciare
a qualcuno l’accaduto, perciò sono scappati via, lasciandomi a volteggiare per
un altro minuto o due, fino a quando sono riuscito a fermarmi strisciando i
piedi a terra, e infine a scendere>>.
Io lo guardo con attenzione, non ho alcuna memoria
di un particolare di questo genere, e penso che magari questo ragazzo se lo
stia inventando, ma per non passare da sciocco gli dico che adesso che me ne ha
parlato ho un vago ricordo di quel preciso pomeriggio. <<Nessuno voleva
stare con te>>, gli dico in fretta, e lui mi guarda, con una strana
smorfia sulla faccia, quasi un sorriso. <<Non mi importava niente di
quegli idioti>>, fa lui, <<ed anche se complottavano sempre
qualcosa contro di me, io cercavo di essere me stesso e basta, senza mai
giungere a dei compromessi>>.
Bruno Magnolfi
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