Sono passato davanti ad un semaforo con la mia auto
durante un giorno qualsiasi, uno di questi giorni appena trascorsi, che
sembrano spesso identici l’uno a quell’altro, ricordo soltanto che non pioveva,
anzi, forse c’era addirittura un pallido sole, magari era addirittura una
giornata chiara, di quelle che ti fanno sentire a tuo agio, in pace con tutto.
Procedevo lentamente, ricordo che non avevo alcuna premura, mi guardavo
attorno, come a cercare di riconoscere le strade che percorrevo, i quartieri
che stavo attraversando, nella ricerca distratta di chissà mai che cosa. Sopra
un marciapiede mi rammento che c’erano delle persone, un gruppo intero, probabilmente,
tutte ferme nell’attesa di attraversare la via piuttosto transitata, e così ho intravisto,
mescolato agli altri, un uomo come tanti se ne vedono, forse addirittura uno
qualsiasi, ed ho immaginato, non so neanche perché, fosse mio padre.
Giacca grigia leggermente sformata, camicia chiara, forse
bianca, nient’altro mi è riuscito di vedere di lui in quel breve attimo in cui
sono riuscito appena ad occhieggiare la sua faccia, la sua espressione seria, i
lineamenti stanchi, di chi probabilmente ha già compiuto un percorso che nel
tempo poco per volta gli ha ristretto qualsiasi possibilità di futuro,
lasciandogli niente di differente alla sua vita di anziano, attaccata solo alle
abitudini. Il suo viso, a ben guardare, mostrava quasi spavento, forse un
assoluto bisogno di rassicurazione, come di un uomo che cerca disperatamente suo
figlio in un luogo qualsiasi, per la necessità di sentirsi sorretto, non più da
solo in mezzo ad estranei.
Era proprio solo, probabilmente, ma forse sono stato soltanto
io a immaginarmelo così: un uomo anziano che gira insieme a tutti gli altri dentro
ad un quartiere, che cerca forse di capire come si stia evolvendo la realtà,
cos’è che sta velocemente cambiando, senza quasi che riesca davvero a
rendersene conto. Ho pensato a quell’uomo come ad un’anima in pena, un padre
che ha smarrito i propri figli, probabilmente, o forse li ha soltanto lasciati
andare, via a cercarsi autonomamente un proprio percorso, senza ostacolare
niente della loro curiosità, anzi aiutandoli in questo, anche se qualche volta
con la morte nel cuore.
Ho provato a parlargli mentalmente, mentre continuavo
a guidare la mia auto, ho provato a
chiedergli da che cosa adesso fosse incuriosito, cosa potessi mai fare io per
lui, per rendergli un po’ di serenità smarrita, per togliere per un attimo
dalla sua faccia quelle rughe di tristezza che parevano indelebili, profonde;
ma lui non ha risposto, non mi ha neanche guardato, non per indifferenza,
soltanto per una lontananza che a me non arrivava in quel momento, o che mi
pareva assolutamente superabile, come un piccolo stupido ostacolo tra tanti che
affrontiamo ogni momento.
Con la vettura sono arrivato alla prima rotatoria, ho
compiuto un giro completo attorno ad una aiuola cittadina molto ben tenuta, e sono
tornato indietro, fino al semaforo dove mio padre doveva essere ancora, in
attesa di qualcosa, mentre cercava di attraversare la strada come gli altri,
come tutti, sicuro di vederlo, di potermi fermare forse, parlargli davvero,
forse abbracciarlo, dirgli quello che ho sempre pensato, che ho spesso avuto voglia
di spiegare a lui, senza mai riuscire a farlo, ma non c’era più, era ormai
sparito, risucchiato dalla vita dei semafori, delle strade, dei passaggi
pedonali. Così ho proseguito a guidare la mia auto, senza pensare alcunché,
forse perché non potevo proprio far altro.
Bruno Magnolfi