Il mio dito insiste lentamente lungo la riga sottile che
si coglie al bordo del mio tavolo quadrato. La ragazza seduta vicino a me forse
osserva i miei movimenti di nascosto, io proseguo nella carezza leggera dello
spigolo, immerso nella sensazione granulosa della piega che forma questa
tovaglietta. Nel bar non c’è quasi nessuno, e quelle poche persone sono distratte
dalle chiacchiere che alcuni fanno a voce alta, di qua e di là dal bancone su
cui due o tre insistono, quasi come alla ricerca del superamento di un’inutile
barriera.
Proseguo
con i miei percorsi, adesso la mia mano è arrivata ad accarezzare il vasetto di
vetro bianco dove stanno appoggiati, immersi in poca acqua, i gambi di un
mazzetto esile di fiorellini colorati. Il mio caffè ormai è freddo, ne sono ben
cosciente, ma credo non abbia proprio alcuna reale importanza: la ragazza
accanto a me sorride alla sua amica che forse le fa un cenno. Lo spigolo del
tavolo di legno sembra scheggiato, lo sento sotto al pollice mentre cerco di
pensare a quante altre volte mi sia accaduto di trascorrere un intero
pomeriggio piovoso da solo in un locale che almeno assomigliasse a questo, e
con onestà ritengo di non ricordarmene nessuna.
La
ragazza parla di qualcuno che al momento non è lì, poi gira la testa, mi
osserva per un attimo, forse per trovare qualche relazione tra le sue parole e
il mio profilo. Con calma prendo un piccolo sorso di caffè, avrei voglia di
alzarmi, ma non lo faccio, resto a respirare l’atmosfera ambigua e sospesa che
circonda i quattro o cinque tavoli di questa luminosa saletta. Non succederà
niente, penso tra me: anche questo giorno scorrerà come tutti gli altri; non vi
troverò assolutamente niente da ricordare, e nonostante questo mi sembrerà, tra
qualche tempo, un giorno unico, speciale, particolarissimo, forse soltanto per
quell’assenza di qualsiasi cosa che a un certo punto si è come manifestata
tutt’intorno a me.
Le
ragazze poi si alzano da quel loro tavolo, pagano la consumazione al cameriere,
si muovono con decisione per andarsene, io proseguo ad inseguire il bordo della
tovaglietta come fosse rimasto l’unico elemento, e il più importante, di cui
sia utile occuparsi. Infine una delle due ragazze, prima di uscire dalla porta
a vetri del locale, si avvicina dondolando verso me, osserva qualcosa sul suo
tavolo, si ferma appena, giusto a un passo, mi guarda dritto, allarga la sua
buffa espressione in un sorriso che forse indica tutto, ma contemporaneamente anche
niente, e dopo si volta, conservando la medesima espressione, e in questa
maniera se ne va.
Rimango qui, a questo mio tavolo, per ancora
un po’ di tempo, e infine quando esco, allontanandomi quasi svogliatamente dalla
sala, vorrei che una bomba, nel preciso momento in cui sono fuori dal locale,
riuscisse ad esplodere di colpo, cancellando tutte quelle ambiguità rimaste in
aria; ma una volta respirata l’aria aperta della strada mi vergogno di quel mio
stupido pensiero, e la realtà improvvisamente mi pare estremamente più
piacevole di come mi sarei aspettato.
Bruno
Magnolfi
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