domenica 1 maggio 2011

L'aria di un giorno qualsiasi.

            
            Il mio dito insiste lentamente lungo la riga sottile che si coglie al bordo del mio tavolo quadrato. La ragazza seduta vicino a me forse osserva i miei movimenti di nascosto, io proseguo nella carezza leggera dello spigolo, immerso nella sensazione granulosa della piega che forma questa tovaglietta. Nel bar non c’è quasi nessuno, e quelle poche persone sono distratte dalle chiacchiere che alcuni fanno a voce alta, di qua e di là dal bancone su cui due o tre insistono, quasi come alla ricerca del superamento di un’inutile barriera.
Proseguo con i miei percorsi, adesso la mia mano è arrivata ad accarezzare il vasetto di vetro bianco dove stanno appoggiati, immersi in poca acqua, i gambi di un mazzetto esile di fiorellini colorati. Il mio caffè ormai è freddo, ne sono ben cosciente, ma credo non abbia proprio alcuna reale importanza: la ragazza accanto a me sorride alla sua amica che forse le fa un cenno. Lo spigolo del tavolo di legno sembra scheggiato, lo sento sotto al pollice mentre cerco di pensare a quante altre volte mi sia accaduto di trascorrere un intero pomeriggio piovoso da solo in un locale che almeno assomigliasse a questo, e con onestà ritengo di non ricordarmene nessuna.
La ragazza parla di qualcuno che al momento non è lì, poi gira la testa, mi osserva per un attimo, forse per trovare qualche relazione tra le sue parole e il mio profilo. Con calma prendo un piccolo sorso di caffè, avrei voglia di alzarmi, ma non lo faccio, resto a respirare l’atmosfera ambigua e sospesa che circonda i quattro o cinque tavoli di questa luminosa saletta. Non succederà niente, penso tra me: anche questo giorno scorrerà come tutti gli altri; non vi troverò assolutamente niente da ricordare, e nonostante questo mi sembrerà, tra qualche tempo, un giorno unico, speciale, particolarissimo, forse soltanto per quell’assenza di qualsiasi cosa che a un certo punto si è come manifestata tutt’intorno a me.
Le ragazze poi si alzano da quel loro tavolo, pagano la consumazione al cameriere, si muovono con decisione per andarsene, io proseguo ad inseguire il bordo della tovaglietta come fosse rimasto l’unico elemento, e il più importante, di cui sia utile occuparsi. Infine una delle due ragazze, prima di uscire dalla porta a vetri del locale, si avvicina dondolando verso me, osserva qualcosa sul suo tavolo, si ferma appena, giusto a un passo, mi guarda dritto, allarga la sua buffa espressione in un sorriso che forse indica tutto, ma contemporaneamente anche niente, e dopo si volta, conservando la medesima espressione, e in questa maniera se ne va.
 Rimango qui, a questo mio tavolo, per ancora un po’ di tempo, e infine quando esco, allontanandomi quasi svogliatamente dalla sala, vorrei che una bomba, nel preciso momento in cui sono fuori dal locale, riuscisse ad esplodere di colpo, cancellando tutte quelle ambiguità rimaste in aria; ma una volta respirata l’aria aperta della strada mi vergogno di quel mio stupido pensiero, e la realtà improvvisamente mi pare estremamente più piacevole di come mi sarei aspettato.


Bruno Magnolfi 

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