Forse non sarebbe stata quella la maniera giusta per
risolvere i miei guai, pensavo mentre entravo dentro a quel piccolo ufficio
postale del paese, proprio lungo la strada provinciale. Neppure mi affrettai,
non ce n’erano motivi, attesi con pazienza, guardando certe carte, che tutti
fossero usciti da quell’unico locale, quasi all’ora di chiusura, e che fosse
rimasta soltanto quella figura d’uomo dietro al bancone, seduta al suo
sportello, solerte nel timbrare qualche cosa. Lo guardavo mentre lui
distrattamente mi chiedeva di cosa avessi mai bisogno, ma io ero vigile e osservavo
già dietro di lui quel muro anonimo con appoggiati solo un armadio semplice insieme
a uno scaffale, con la porta socchiusa sul fondo, proprio nel mezzo, alle sue
spalle.
Dissi buongiorno, solo per una sorta di abitudine, senza
ironia, mentre già gli puntavo alla faccia il taglierino. Lui non disse niente,
non si mosse, e questa momentanea assenza di ordinari sentimenti forse
innervosì i miei gesti. Immaginai in un attimo la sua vita, il suo lavoro
sicuro, il suo ruolo monotono e importante nel paese, e ne ebbi disgusto, non
so perché, forse per quell’invidia che nasceva dal contrasto con la mia
esistenza senza regole. Avevo proprio chiare le mie idee fino ad un momento
prima, come tutto il proseguo della storia, ma ogni cosa adesso pareva così
ordinaria che cercavo in qualche modo di far emergere un dettaglio. Non so
neppure in fondo perché cercai qualcosa che rompesse quello stallo
insopportabile che si era profilato, ma il mio gesto frettoloso solo per caso
andò proprio a tagliargli la carne della faccia, senza che potessi fare molto
per impedirne il compimento.
Forse l’uomo urlò, non saprei dirlo, forse rimase
incredulo e impaurito di quel sangue che in un attimo sporcava il suo consumato
posto di lavoro. Mentalmente ricominciai daccapo quel percorso che mi aveva
portato proprio fino lì, ed anche in una seconda ipotesi riflettevo che avrei
desiderato far sparire l’uomo alla mia vista, come se non fosse mai esistito,
via dalla mia strada. Eppure tutto era ormai iniziato, non potevo far niente
per fermare il corso delle cose, così quando vidi la donna farsi sulla porta
alle spalle di quel suo collega e giungere assordante il rumore di quella
sirena, forse l’unica protezione contro la gente come me, non riuscii più
neanche a pensare, e restai lì, pietrificato, solo a guardare quel luogo senza
senso, e quell’uomo che in mezzo vi danzava, unico elemento mobile di tutto
quanto il quadro.
Parlai all’uomo allora, gli urlai che doveva darmi i
soldi, e lui reggendosi la faccia aprì il cassetto e mi gettò sul banco tutto
ciò che conteneva. Ebbi un moto d’odio per quella persona che rovesciava così
il suo disinteresse per i miei problemi, la mia vita, il mio difficoltoso
esistere, liquidandomi con qualche banconota, così pensai di infierire ancora
su di lui, come contro la rappresentazione di ciò che mi lasciava estraneo al
mondo, ma mi trattenni. Andava tutto storto, pensavo, pochi soldi, la sirena
che richiamava l’attenzione di tutto quel paese e delle guardie: mi avrebbero
acciuffato, ne ero già convinto. Pensai ad un gesto che riscattasse quei miei
errori, che ne trovasse un senso, forse, ma non seppi pensarne neanche una
traccia, così tornai ad uscire sulla strada provinciale, proprio da dove ero
arrivato, svuotato ormai di qualsiasi desiderio.
Cercai di fuggire allora, com’era normale che facessi, il
resto non voglio neppure ricordarlo.
Bruno Magnolfi
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