mercoledì 11 maggio 2011

Succede, qualche volta.

            
            Forse non sarebbe stata quella la maniera giusta per risolvere i miei guai, pensavo mentre entravo dentro a quel piccolo ufficio postale del paese, proprio lungo la strada provinciale. Neppure mi affrettai, non ce n’erano motivi, attesi con pazienza, guardando certe carte, che tutti fossero usciti da quell’unico locale, quasi all’ora di chiusura, e che fosse rimasta soltanto quella figura d’uomo dietro al bancone, seduta al suo sportello, solerte nel timbrare qualche cosa. Lo guardavo mentre lui distrattamente mi chiedeva di cosa avessi mai bisogno, ma io ero vigile e osservavo già dietro di lui quel muro anonimo con appoggiati solo un armadio semplice insieme a uno scaffale, con la porta socchiusa sul fondo, proprio nel mezzo, alle sue spalle.
            Dissi buongiorno, solo per una sorta di abitudine, senza ironia, mentre già gli puntavo alla faccia il taglierino. Lui non disse niente, non si mosse, e questa momentanea assenza di ordinari sentimenti forse innervosì i miei gesti. Immaginai in un attimo la sua vita, il suo lavoro sicuro, il suo ruolo monotono e importante nel paese, e ne ebbi disgusto, non so perché, forse per quell’invidia che nasceva dal contrasto con la mia esistenza senza regole. Avevo proprio chiare le mie idee fino ad un momento prima, come tutto il proseguo della storia, ma ogni cosa adesso pareva così ordinaria che cercavo in qualche modo di far emergere un dettaglio. Non so neppure in fondo perché cercai qualcosa che rompesse quello stallo insopportabile che si era profilato, ma il mio gesto frettoloso solo per caso andò proprio a tagliargli la carne della faccia, senza che potessi fare molto per impedirne il compimento.
            Forse l’uomo urlò, non saprei dirlo, forse rimase incredulo e impaurito di quel sangue che in un attimo sporcava il suo consumato posto di lavoro. Mentalmente ricominciai daccapo quel percorso che mi aveva portato proprio fino lì, ed anche in una seconda ipotesi riflettevo che avrei desiderato far sparire l’uomo alla mia vista, come se non fosse mai esistito, via dalla mia strada. Eppure tutto era ormai iniziato, non potevo far niente per fermare il corso delle cose, così quando vidi la donna farsi sulla porta alle spalle di quel suo collega e giungere assordante il rumore di quella sirena, forse l’unica protezione contro la gente come me, non riuscii più neanche a pensare, e restai lì, pietrificato, solo a guardare quel luogo senza senso, e quell’uomo che in mezzo vi danzava, unico elemento mobile di tutto quanto il quadro.
            Parlai all’uomo allora, gli urlai che doveva darmi i soldi, e lui reggendosi la faccia aprì il cassetto e mi gettò sul banco tutto ciò che conteneva. Ebbi un moto d’odio per quella persona che rovesciava così il suo disinteresse per i miei problemi, la mia vita, il mio difficoltoso esistere, liquidandomi con qualche banconota, così pensai di infierire ancora su di lui, come contro la rappresentazione di ciò che mi lasciava estraneo al mondo, ma mi trattenni. Andava tutto storto, pensavo, pochi soldi, la sirena che richiamava l’attenzione di tutto quel paese e delle guardie: mi avrebbero acciuffato, ne ero già convinto. Pensai ad un gesto che riscattasse quei miei errori, che ne trovasse un senso, forse, ma non seppi pensarne neanche una traccia, così tornai ad uscire sulla strada provinciale, proprio da dove ero arrivato, svuotato ormai di qualsiasi desiderio.   
            Cercai di fuggire allora, com’era normale che facessi, il resto non voglio neppure ricordarlo.


            Bruno Magnolfi

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