Normalmente mi
limito a girare ogni sera lungo le due o tre stradine principali del mio paese,
camminando lentamente ma con tenacia, un passo dietro l’altro sul lastricato
vecchio e in alcuni punti anche malmesso, tra le salite e le discese che
caratterizzano tutta la piccola zona storica. Nella piazzetta principale,
proprio sotto al grande loggiato, si apre il luminoso Caffè Centrale, un grande
bar pasticceria sempre affollato, specialmente a quell’ora, generalmente
frequentato da clientela maschile, dai più in vista del luogo, che spesso si
fanno servire agli eleganti tavolini all’esterno, e se ne rimangono lì a
parlare, a guardarsi attorno e spesso a salutare qualcuno che passa nella
piazza.
Io me ne tengo
alla larga da quell’ambiente, mi sembra che la mia solitudine non debba essere
confusa con altro, e le mie passeggiate siano semplicemente un momento di
riflessione, tutt’al più un aggiornamento sugli altri che incontro a volte,
quasi una carrellata dei gesti e degli sguardi che si possono notare in tante
persone certe serate, anche se poi in definitiva sono sempre un po’ gli stessi.
Cammino, arranco su queste vecchie pietre, e mi pare di non aver bisogno di
nient’altro, niente comunque che assomigli a quella socialità affettata che si
può notare e che rilevo nei pressi del Caffè Centrale.
Sono talmente
convinto delle mie posizioni, nonostante tutti in paese mi conoscano perlomeno
di vista, che questa sera, al contrario di come faccio sempre, ho indossato la
mia giacca per la domenica, non saprei neppure dire il perché visto che è
soltanto mercoledì, e in questo modo, ben sicuro di me e delle mie capacità,
sono uscito da casa per andarmene diretto verso il loggiato, nella piazzetta
principale. C’erano i soliti, naturalmente, qualcuno mi ha guardato, due o tre
mi hanno rivolto un saluto piuttosto incoraggiante. Sono entrato dentro al
Caffè Centrale, ho ordinato un aperitivo, poi sono andato a sedermi ad uno dei
tavolini che rimangono all’esterno. Qualcuno mi ha detto qualcosa di spiritoso,
io ho sorriso ma non ho risposto.
Poi si è
avvicinata una mia vecchia conoscenza, mi ha fatto i complimenti per la giacca,
mi ha salutato con calore, infine mi ha lasciato sorseggiare il mio aperitivo,
lasciandomi da solo dopo avermi stretto la mano. Ecco, ciò di cui avevo sentito
la necessità all’improvviso si è manifestato: mi sentivo bene in mezzo a questa
gente, continuavo ad ascoltare tutti che parlavano tra loro, qualcuno che
rideva, ma questo non aveva neppure troppa importanza; niente di ciò che sono
sempre stato andava perso in quell’ambiente, pur in mezzo a loro, dentro a quel
locale quasi fulcro di tutto il mio paese. Non è importante il mio starmene
distaccato, camminare in solitudine e guardare gli altri di sottecchi: ciò che
conta è che sono uno come tutti, e che non ho bisogno di sottolineare qualche
differenza per sentirmi diverso o addirittura migliore. Tornerò qualche volta a
sedermi al Caffè Centrale, ho pensato mentre me ne andavo: in fondo l’aperitivo
non era affatto male, e anche la compagnia si è mostrata più cortese e
piacevole di quanto avrei supposto.
Bruno Magnolfi
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