Con lo sguardo basso, camminando con lentezza e scorrendo
lungo gli interminabili corridoi dell’ospedale Policlinico, Lello, senza
neppure avere in mente una meta precisa, lasciandosi sfiorare continuamente da
parenti e amici che a quell’ora sono tutti in visita ai moltissimi ammalati che
affollano i reparti, si sente confortato dall’idea che nessuno pare si
preoccupi di lui. Si muove con circospezione, in ogni caso, soppesa ad ogni
passo ogni dettaglio, evita di essere avvicinato da qualsiasi camice bianco che
ogni tanto si trova ad incrociare, e se ne va avanti, senza neppure sapere
verso dove, ma come muovendosi in una giungla infida, passando comunque in
rassegna con attenzione i pericoli che incombono e le minacce che possono
sussistere.
Non entra nelle camere, non gli piace vedere gli ammalati
dentro ai letti, pallidi, sofferenti, spesso senza alcuna forza, lui si limita
a pensare che ci sono, sono là, sotto alle coperte, a volte stanno ad occhi
chiusi, in tanti casi parlano con qualcuno, cercano di sentirsi come gli altri,
come quelli che sono lì, vicino a loro, però in piena salute. Scende le scale
di servizio, Lello, sale sopra l’ascensore assieme ad altra gente, va a sedersi
dentro una saletta, come molti, ma soltanto per un attimo, poi riprende instancabile
con il suo girovagare silenzioso.
C’è una donna di cui si ricorda, Lello, e lui si sente
consapevole che è il suo stesso viso quello che sta cercando adesso tra tutta
quella gente, anche se forse non è neppure possibile che lei sia proprio lì, in
quell’ospedale. Cecilia, ecco che ricorda anche il suo nome, una persona
gentile, sorridente, che qualche tempo prima veniva a far visita a qualcuno che
poi fu trasferito, un suo parente forse, e a volte lei lo incrociava, mentre Lello
come al solito camminava lungo il corridoio, e gli chiedeva in certi casi qualcosa
sulla sua salute, poi lo salutava in fretta, questo si, ma gli lasciava dentro
alla memoria quel suo sguardo bello, comprensivo, che apparentemente durava
solo un attimo, ma che per Lello proseguiva per dei giorni interi.
Qualcuno inizia già ad andarsene, l’orario delle visite
sta quasi per finire, Lello si volta velocemente, prende l’ascensore e torna al
piano terra, passa davanti alla portineria dove lo salutano, sembra proprio che
tutti lo conoscano là dentro, anche se lui non risponde quasi mai. Poi, tramite
un altro vasto corridoio, esce da quella clinica per rientrare nel reparto dove
qualcuno lo sta già aspettando: sono queste le regole, il medico è stato
persino troppo chiaro, soltanto un’ora per andare a muoversi in mezzo alle
persone, non di più, poi Lello, come tutti lo chiamano in quell’ambiente, deve
rientrare alla sezione chiusa, quella destinata agli psichiatrici.
Non
lo sa il dottore che lui cerca Cecilia; crede che vada a girare dentro
all’ospedale senza neppure avere un motivo preciso. Non importa, il dottore
svolge il suo lavoro, probabilmente di tutto il resto non gli interessa neanche
molto. Un giorno, tra tutta quella gente, Lello incontrerà la sua Cecilia, ne è
più che sicuro, e sarà allora che correrà dal medico, e gli dirà che c’è
riuscito, che è successo proprio quello per cui lui da tanti anni stava
cercando di guarire: non importa se Cecilia lo avrà riconosciuto in quella
confusione, per Lello sarà sufficiente averla vista, almeno un’altra volta.
Bruno Magnolfi
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