Avevo sceso le scale
quasi di corsa, la fretta di ogni giorno inviava brevi segnali alle gambe e poi
giù fino ai piedi; avevo quasi aperto del tutto il pesante portone
condominiale, ero riuscito quasi a sentire sfiorarmi la faccia dall’aria più
fresca che correva lungo la strada; ero fuori, praticamente, già proiettato
verso tutto ciò a cui dovevo far fronte, come qualsiasi altra giornata,
risucchiato magicamente dalle attività quotidiane. Sarei dovuto passare di
banca a ritirare dei soldi prima di andare al lavoro, non ci voleva molto,
l’agenzia rimaneva lungo la strada.
Eppure, al momento di
mettere la mano sulla maniglia, mi ero fermato, ma senza sapere il perché,
quasi che un ripensamento importante fosse passato all’improvviso nella mia
mente. Fermo, sopra la soglia che immetteva sul marciapiede, mi sentivo come
paralizzato da qualcosa che non riuscivo in nessuna maniera a rendere
decifrabile. Stavo pensando, ecco, forse questo si potrebbe ipotizzare di tutto
quello che in un attimo solo mi stava inchiodando in quella posizione precisa,
a metà tra l’interno e l’esterno, a cavallo di qualcosa che pareva più importante
di qualsiasi attività.
Riflettevo
semplicemente sui gesti che avrei dovuto compiere per raggiungere la fermata
dell’autobus, poi attendere che transitasse, salirvi sopra, timbrare il
biglietto, e così via. Mi pareva del tutto impossibile che le cose potessero
procedere in quella maniera come erano previste: mi sembrava che tutta la
realtà si fosse d’improvviso ingarbugliata, non ricordavo di preciso neppure
dove fosse la fermata dei mezzi pubblici, e poi mi appariva complicatissimo
riuscire a salire sull’autobus, trovare in qualche tasca della giacca il
biglietto, timbrarlo, e tutte le altre cose necessarie a rendere di me una
persona normale. Il decorso dei fatti che avevo di fronte era slegato, ogni
piccola operazione era un rebus.
Rimasi fermo nell’attesa
che i miei pensieri riprendessero il loro corso più naturale, ma tutto, proprio
mentre cercavo di riflettere su quanto
andava accadendo, nella mia mente si faceva più oscuro, non proprio come se non
avessi memoria di ciò che dovevo affrontare, bensì come se tutte le azioni da
compiere si fossero rimescolate tra loro dentro di me, apparendo completamente
indecifrabili. Pensai di tornarmene indietro e di rientrare dentro al mio appartamento,
mettermi a letto, chiamare subito il medico, ma anche questa mi parve subito una
cosa estremamente complicata, quasi che i concetti di scala, di porta, di
corrimano, di chiavi, avessero invertito le proprie valenze, risultando
imbrogliati tra loro. Restavo sulla soglia del portone condominiale, impossibilitato
a fare qualsiasi altra cosa, e forse qualcuno dalla strada mi aveva anche intravisto,
immaginavo, magari aveva pensato qualcosa di strano su di me, ma io non potevo
far niente, mi sentivo del tutto inabile a qualsiasi movimento.
Pensai di chiedere
aiuto, ma era difficile, probabilmente non sarei neppure riuscito ad articolare
correttamente delle parole, mi sentivo disperato, non sapevo più assolutamente
che fare. Sentii alle mie spalle dei rumori, qualcuno probabilmente stava
scendendo le scale dietro di me, sicuramente mi aveva già visto, da dietro magari
mi aveva lanciato anche un saluto, ed io ad un tratto, quando ormai era vicino,
lo riconoscevo: era l’inquilino del quarto piano, però non riuscivo a dirgli
niente in risposta, restavo lì fermo, immobile, proprio come avevo sospettato
accadesse, e lui con un gesto ecco che allargava frettolosamente il portone per
permettere il passaggio anche della sua persona, poi con rapidità prendeva
subito il marciapiede alla sua destra, chissà in direzione di dove, e in
fretta, così come era arrivato, scompariva nel niente.
Bruno Magnolfi
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