domenica 4 settembre 2011

Ingiustificata solitudine.

           

            Alcune conoscenti si erano fermate da me per chiedermi di uscire assieme a loro, ma io avevo risposto, con apparente dispiacere, di non sentirmi troppo bene, e per questo preferivo rimanere a casa, perlomeno quel pomeriggio. Dopo qualche insistenza loro avevano acconsentito alla mia volontà, ma se ne erano andate soltanto promettendo, sia a me che a loro stesse, di ripassare più tardi per assicurarsi che non avessi bisogno di qualcosa, e soprattutto per verificare che il mio malessere fosse ormai scomparso, come si auguravano.
            Le osservai dalla finestra mentre si allontanavano parlando e ridacchiando di qualcosa, ed io provai una certa distanza nell’immaginare i loro giri dentro ai negozi, quel passeggiare senza meta che conoscevo bene, il loro fermarsi dentro al solito caffè, e cose di quel genere. Mi sedetti sopra una poltrona e la mia solitudine improvvisamente mi parve una fortuna, qualcosa sicuramente da difendere come un aspetto importante della personalità. Mi sentivo libera di fare e di pensare, dentro alle mura della mia piccola casa, e mi pareva questo, a mio modo di vedere, l’elemento di gran lunga più importante.
            Mentalmente cercai qualcosa di cui interessarmi, tanto per far trascorrere del tempo, ma in breve la mia ricerca apparve inutile. I miei pensieri pareva d’un tratto galleggiassero nel niente, sentivo fuori le auto e i rumori della città, tutto quanto che proseguiva come sempre, ma la distanza tra me e il resto sembrava aumentare ad ogni istante. Mi sollevai dalla poltrona, girai per casa cercando qualcosa da toccare o di cui occuparmi, almeno per qualche attimo, ma ogni mio sforzo fu del tutto inutile. Vedevo tutto quanto intorno a me perfettamente a posto, come se niente avesse necessità di un mio intervento, tanto da lasciarmi inerte, praticamente inutile. Sentivo la mia personalità costantemente incapace di affrontare i malesseri che mi sembrava di provare, e le altre persone a cui pensavo, al mio confronto, mi apparivano tutte estremamente fortunate.
            Decisi di cambiarmi d’abito e di raggiungere frettolosamente le mie amiche, dire loro tutto ciò che in quel poco tempo mi era passato per la testa, scongiurarle di non lasciarmi sola, incapace di affrontare quel vuoto profondo che sentivo adesso dentro me, ma tutto mi parve complicato; pensai che probabilmente non sarei neanche riuscita ad incontrarle, e che avrei provato in quel caso uno sconforto anche maggiore. D’improvviso riflettevo con angoscia che la preoccupazione provata per me stessa stesse diventando quasi una fobia, e ne provai paura. Continuavo a muovermi tra la camera da letto e il salottino torcendomi le mani, senza decidermi a niente, come se, tutto ad un tratto, quell’equilibrio del quale provavo perfetta sicurezza fino a poco prima, quella sensazione di stabilità, quella coscienza che avevo messo a punto in tutti i miei giorni, fosse scomparsa, perduta in un attimo senza alcun’altra possibilità.
            Passò ancora del tempo in cui la mia costernazione raggiunse quasi il paradosso, fino a quando sentii alcune voci giungere dall’esterno, e forse udii pronunciare anche il mio nome: mi avvicinai velocemente alla finestra e vidi le mie amiche che stavano tornando. Mi scesero le lacrime, ma cercai subito di ricacciarle indietro pensando a quanto sciocco fosse il mio comportamento. Mi venne voglia di aprire la porta e di abbracciarle tutte quante quelle donne che venivano a salvarmi, ma pur accogliendole cercai di conservare un atteggiamento più posato. Infine quelle entrarono dentro la mia casa con la loro solita allegria, constatarono subito però come la mia espressione dimostrasse uno sconvolgimento che non riuscivano a spiegarsi, così come i miei modi apparissero nervosi e pressoché ingiustificati: così mi fecero subito sdraiare sul mio letto, e in breve si decisero a chiamare velocemente un medico.


            Bruno Magnolfi   

Nessun commento:

Posta un commento