Alcune
conoscenti si erano fermate da me per chiedermi di uscire assieme a loro, ma io
avevo risposto, con apparente dispiacere, di non sentirmi troppo bene, e per
questo preferivo rimanere a casa, perlomeno quel pomeriggio. Dopo qualche
insistenza loro avevano acconsentito alla mia volontà, ma se ne erano andate
soltanto promettendo, sia a me che a loro stesse, di ripassare più tardi per
assicurarsi che non avessi bisogno di qualcosa, e soprattutto per verificare che
il mio malessere fosse ormai scomparso, come si auguravano.
Le
osservai dalla finestra mentre si allontanavano parlando e ridacchiando di
qualcosa, ed io provai una certa distanza nell’immaginare i loro giri dentro ai
negozi, quel passeggiare senza meta che conoscevo bene, il loro fermarsi dentro
al solito caffè, e cose di quel genere. Mi sedetti sopra una poltrona e la mia
solitudine improvvisamente mi parve una fortuna, qualcosa sicuramente da
difendere come un aspetto importante della personalità. Mi sentivo libera di
fare e di pensare, dentro alle mura della mia piccola casa, e mi pareva questo,
a mio modo di vedere, l’elemento di gran lunga più importante.
Mentalmente
cercai qualcosa di cui interessarmi, tanto per far trascorrere del tempo, ma in
breve la mia ricerca apparve inutile. I miei pensieri pareva d’un tratto galleggiassero
nel niente, sentivo fuori le auto e i rumori della città, tutto quanto che
proseguiva come sempre, ma la distanza tra me e il resto sembrava aumentare ad
ogni istante. Mi sollevai dalla poltrona, girai per casa cercando qualcosa da
toccare o di cui occuparmi, almeno per qualche attimo, ma ogni mio sforzo fu
del tutto inutile. Vedevo tutto quanto intorno a me perfettamente a posto, come
se niente avesse necessità di un mio intervento, tanto da lasciarmi inerte,
praticamente inutile. Sentivo la mia personalità costantemente incapace di
affrontare i malesseri che mi sembrava di provare, e le altre persone a cui
pensavo, al mio confronto, mi apparivano tutte estremamente fortunate.
Decisi
di cambiarmi d’abito e di raggiungere frettolosamente le mie amiche, dire loro
tutto ciò che in quel poco tempo mi era passato per la testa, scongiurarle di
non lasciarmi sola, incapace di affrontare quel vuoto profondo che sentivo
adesso dentro me, ma tutto mi parve complicato; pensai che probabilmente non
sarei neanche riuscita ad incontrarle, e che avrei provato in quel caso uno
sconforto anche maggiore. D’improvviso riflettevo con angoscia che la
preoccupazione provata per me stessa stesse diventando quasi una fobia, e ne
provai paura. Continuavo a muovermi tra la camera da letto e il salottino
torcendomi le mani, senza decidermi a niente, come se, tutto ad un tratto,
quell’equilibrio del quale provavo perfetta sicurezza fino a poco prima, quella
sensazione di stabilità, quella coscienza che avevo messo a punto in tutti i
miei giorni, fosse scomparsa, perduta in un attimo senza alcun’altra
possibilità.
Passò
ancora del tempo in cui la mia costernazione raggiunse quasi il paradosso, fino
a quando sentii alcune voci giungere dall’esterno, e forse udii pronunciare
anche il mio nome: mi avvicinai velocemente alla finestra e vidi le mie amiche
che stavano tornando. Mi scesero le lacrime, ma cercai subito di ricacciarle
indietro pensando a quanto sciocco fosse il mio comportamento. Mi venne voglia
di aprire la porta e di abbracciarle tutte quante quelle donne che venivano a
salvarmi, ma pur accogliendole cercai di conservare un atteggiamento più
posato. Infine quelle entrarono dentro la mia casa con la loro solita allegria,
constatarono subito però come la mia espressione dimostrasse uno sconvolgimento
che non riuscivano a spiegarsi, così come i miei modi apparissero nervosi e pressoché
ingiustificati: così mi fecero subito sdraiare sul mio letto, e in breve si
decisero a chiamare velocemente un medico.
Bruno
Magnolfi
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