Avevo
avvertito un bisbiglio nel buio della camera da letto, qualcosa di strano, tanto
da rendermi inquieto e non permettermi più di dormire. Così mi ero alzato,
avevo acceso la lampada e girato a lungo dentro alla piccola stanza di quella
pensione, poi mi ero seduto. Non c’era niente che giustificasse un rumore come
quello che avevo sentito, ma soprattutto non era possibile che qualcuno fosse entrato
là dentro per bisbigliare strane frasi ai piedi del letto. Mentre i minuti
passavano nel silenzio completo dell’ora notturna, cercavo di pensare sempre di
più che mi fossi sbagliato, che il mio dormiveglia mi avesse giocato uno
scherzo, e con questa riflessione tornai a coricarmi, anche se non riuscivo a
trovare la tranquillità sufficiente per addormentarmi. Ripensavo a quello che avevo sentito, o
almeno creduto di sentire, e sempre di più mi pareva di aver distinto le
sillabe distorte che compongono un nome: il mio.
Nei giorni precedenti avevo
vagato a lungo per la città, senza decidermi a niente: cercavo un lavoro,
questo era il punto, mi ero trasferito dal mio piccolo paese di provincia
proprio per questo, ma adesso che dovevo mettere in atto tutte le strategie e
le conoscenze che avevo per riuscire a farmi dare un’occupazione, sembrava che
qualsiasi pensiero fosse capace di distrarmi da quei miei buoni auspici. Giravo
per tutte le strade in qualche caso addirittura perdendomi, tanto da dover
chiedere a qualche passante la direzione per tornare verso i quartieri che
conoscevo di più. Sentivo quasi, dentro di me, la necessità per quella
solitudine incontrastata che continuavo a cercare, quel muovermi lungo le vie incuriosito
da tutto, mescolandomi a tante persone del tutto indifferenti alla mia situazione,
preda com’ero di pensieri ondivaghi ed inconcludenti.
L’angoscia,
che per tutto il giorno riuscivo in qualche modo a tenere distante, scaturiva
fuori immediata quando rientravo nella camera della pensione, ma non era
sufficiente ad indurmi ad un comportamento maggiormente concreto. I soldi che
mi erano stati prestati dalla mia famiglia diminuivano senza rimedio, ma io,
che prendevo i pasti in quell’alberghetto ordinando vini costosi e piatti
speciali, fingevo quasi di non accorgermi di quanto stava accadendo. Infine,
con un gesto quasi di disperazione improvvisa, ero andato dalla proprietaria di
quella pensione per pregarla di darmi un lavoro, o perlomeno qualcosa da fare.
Lei non aveva detto di no, semplicemente si era lasciata del tempo per prendere
una decisione, ed eravamo rimasti d’accordo che mi avrebbe dato senz’altro una
risposta alla fine di quella settimana.
Mi
pareva che tutto potesse riprendere un senso, che la mia vita iniziasse in
qualche maniera a scorrere con regolarità, così quella sera avevo bevuto
qualche bicchiere di troppo. Avevo offerto da bere a tutti coloro che stavano
attorno a me nel ristorante, ed avevo parlato con chiunque delle cose più
sciocche. Mi ero coricato quando ormai era tardi, e mi era parso, fantasticando
senza alcun freno, che fosse l’ultima notte che dormivo in quella spelonca, e
che dal giorno seguente le cose avrebbero preso un corso diverso per me. Ma
quel bisbigliare il mio nome nel buio aveva riportato ogni pensiero alla mia
situazione reale, e all’improvviso sentivo il calare delle preoccupazioni
dentro di me, e la mia fronte che si imperlava sempre più di sudore.
La
notte passò così, in qualche maniera, senza che fossi riuscito a chiudere
occhio, e quando scesi nella saletta per la colazione, la proprietaria della
pensione mi disse che pur dispiacendole non c’era posto per me tra il personale
che aveva. Saldai così il conto con i pochi soldi che mi erano ancora rimasti, firmando
sul registro dell’albergo accanto al mio nome, poi chiesi se per caso qualche
cliente avesse l’abitudine di bisbigliare nei corridoi durante la notte. Non
credo, mi fu risposto, in ogni caso c’è effettivamente qualcosa di strano: il
nome sul suo documento è diverso da quello con cui si è firmato.
Bruno
Magnolfi
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