giovedì 15 settembre 2011

Un pezzo di cielo sul muro.

            
            Guardo il muro in fondo alla strada, e poi volgo lo sguardo più in alto, dentro a quel cielo trasparente, con tutte le stagioni che vi si rincorrono dentro, e le nuvole, in ogni periodo, ora bianche ora grigie, senza fermarsi. Vengo qui sistematicamente ogni giorno nel pomeriggio, mi accompagna mia madre, o qualche volta mio fratello quando proprio non c’è l’assistente. Io non parlo, non ho mai parlato, ma guardo tutte le cose che ci sono qui attorno, e soprattutto quel muro, sostegno del cielo; non mi piace cambiare, per questo ogni giorno voglio che mi portino qui, per rendermi conto di quel mutamento leggero e spietato che il tempo procura su quelle pietre, sul muro, proprio quello che chiude  questa piccola strada, e ne fa un vicolo cieco, dove non passa nessuno. 
            Hanno provato qualche volta a farmi cambiare, a portarmi a passeggiare da tutt’altra parte, ma io ho strepitato, ho preso a morsi tutti coloro con i quali ero insieme, mi sono disperato, non voglio, non posso cambiare, è più forte di me, ho bisogno ogni giorno di vedere quel muro che chiude la strada, e quel pezzo di cielo sempre diverso, che sta lì e lo sovrasta. Mia mamma è paziente, mi dice tutte le cose con calma, sottovoce, e in ogni caso cerca sempre di accontentarmi; gli assistenti invece cercano spesso di farsi vedere più energici, e certe volte mi fanno arrabbiare, pare proprio che non intendono capire un bel niente.
            Mio fratello è uno pratico, sbrigativo, non ha mai molta voglia di perdere del tempo con me:  dice spesso che non succede mai niente in questo pezzo di strada, secondo lui è perfettamente inutile venire fin qui, ma io neppure lo ascolto, rido di gusto certe volte quando lo dice, ma poi mi sento tranquillo quando riesco ad abbracciare con una semplice occhiata questo scorcio di mondo, questa realtà che appare insensata soltanto per tutti coloro che non riescono a coglierne l’importanza profonda. Cammino con i miei passi piccoli, direi misurati, senza mai dire niente, io non parlo, non ne ho bisogno, so che questo è il mio mondo, questo semplice tratto di strada, le cose da vedere a cui sono affezionato di più.
            Mio fratello dice a volte che potrebbe portarmi con sé, farmi conoscere qualche bella ragazza, farmi divertire magari; così dice lui, ma io non gli bado: in fondo lui cosa capisce delle mie voglie vere, della mia esigenza di rivedere ogni volta quel muro, quelle pietre stonacate che sembra forse non siano utili a niente, ma che invece chiudono la prospettiva della strada, e soprattutto sostengono il cielo, lasciano che quello semplicemente si appoggi con calma sopra al suo profilo. Mio fratello non capisce, non riesce a rendersi conto: per me sapere che il mondo è fatto di cielo e di muro, è come conoscere tutto il resto di qualsiasi altra cosa, come avere visto già tutto quello che serve, perché è così, tutto quanto è là in fondo, e non c’è alcun bisogno di vedere nient’altro.
            Poi torno a casa, mi metto seduto, lascio che gli altri si occupino di tutto quello che vogliono, io faccio il bravo, non parlo, è quasi come se non ci fossi. Non ho bisogno di niente, i miei pensieri sono a riposo, tutto quello di cui sento necessità è sapere che il mio muro è ancora laggiù, ben saldo, fermo a reggere il cielo, e che nessun nemico riuscirà mai a varcarlo, almeno per questa serata: domani sarà un giorno diverso, tornerò là per rendermi conto di tutto, di nuovo, e sarò ben felice di ritrovare sia quel cielo che quelle pietre al loro legittimo posto, così come spero ancora sarà, sempre nella stessa maniera, per tutto il tempo che serve.


            Bruno Magnolfi 

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