Guardo
il muro in fondo alla strada, e poi volgo lo sguardo più in alto, dentro a quel
cielo trasparente, con tutte le stagioni che vi si rincorrono dentro, e le
nuvole, in ogni periodo, ora bianche ora grigie, senza fermarsi. Vengo qui
sistematicamente ogni giorno nel pomeriggio, mi accompagna mia madre, o qualche
volta mio fratello quando proprio non c’è l’assistente. Io non parlo, non ho
mai parlato, ma guardo tutte le cose che ci sono qui attorno, e soprattutto
quel muro, sostegno del cielo; non mi piace cambiare, per questo ogni giorno
voglio che mi portino qui, per rendermi conto di quel mutamento leggero e
spietato che il tempo procura su quelle pietre, sul muro, proprio quello che
chiude questa piccola strada, e ne fa un
vicolo cieco, dove non passa nessuno.
Hanno
provato qualche volta a farmi cambiare, a portarmi a passeggiare da tutt’altra
parte, ma io ho strepitato, ho preso a morsi tutti coloro con i quali ero
insieme, mi sono disperato, non voglio, non posso cambiare, è più forte di me,
ho bisogno ogni giorno di vedere quel muro che chiude la strada, e quel pezzo
di cielo sempre diverso, che sta lì e lo sovrasta. Mia mamma è paziente, mi
dice tutte le cose con calma, sottovoce, e in ogni caso cerca sempre di
accontentarmi; gli assistenti invece cercano spesso di farsi vedere più
energici, e certe volte mi fanno arrabbiare, pare proprio che non intendono
capire un bel niente.
Mio
fratello è uno pratico, sbrigativo, non ha mai molta voglia di perdere del
tempo con me: dice spesso che non
succede mai niente in questo pezzo di strada, secondo lui è perfettamente
inutile venire fin qui, ma io neppure lo ascolto, rido di gusto certe volte
quando lo dice, ma poi mi sento tranquillo quando riesco ad abbracciare con una
semplice occhiata questo scorcio di mondo, questa realtà che appare insensata
soltanto per tutti coloro che non riescono a coglierne l’importanza profonda.
Cammino con i miei passi piccoli, direi misurati, senza mai dire niente, io non
parlo, non ne ho bisogno, so che questo è il mio mondo, questo semplice tratto
di strada, le cose da vedere a cui sono affezionato di più.
Mio
fratello dice a volte che potrebbe portarmi con sé, farmi conoscere qualche
bella ragazza, farmi divertire magari; così dice lui, ma io non gli bado: in
fondo lui cosa capisce delle mie voglie vere, della mia esigenza di rivedere ogni
volta quel muro, quelle pietre stonacate che sembra forse non siano utili a
niente, ma che invece chiudono la prospettiva della strada, e soprattutto sostengono
il cielo, lasciano che quello semplicemente si appoggi con calma sopra al suo profilo.
Mio fratello non capisce, non riesce a rendersi conto: per me sapere che il
mondo è fatto di cielo e di muro, è come conoscere tutto il resto di qualsiasi
altra cosa, come avere visto già tutto quello che serve, perché è così, tutto
quanto è là in fondo, e non c’è alcun bisogno di vedere nient’altro.
Poi
torno a casa, mi metto seduto, lascio che gli altri si occupino di tutto quello
che vogliono, io faccio il bravo, non parlo, è quasi come se non ci fossi. Non
ho bisogno di niente, i miei pensieri sono a riposo, tutto quello di cui sento
necessità è sapere che il mio muro è ancora laggiù, ben saldo, fermo a reggere
il cielo, e che nessun nemico riuscirà mai a varcarlo, almeno per questa
serata: domani sarà un giorno diverso, tornerò là per rendermi conto di tutto,
di nuovo, e sarò ben felice di ritrovare sia quel cielo che quelle pietre al
loro legittimo posto, così come spero ancora sarà, sempre nella stessa maniera,
per tutto il tempo che serve.
Bruno
Magnolfi
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