Immobile,
sdraiato su questo vecchio divano, osservo la luce del giorno che filtra con
garbo dalla tenda della grande finestra. Mi sento completamente indolenzito, la
mia mano sfiora il tappeto sul pavimento, avverto la pelle sudaticcia e
fastidiosa sotto a questa camicia piena di grinze, e un gran mal di testa mi
martella le tempie.
C’è stata una
festa, rifletto tanto per partire da qualcosa di certo; ho bevuto fino alla
nausea, fino quasi a stordirmi, tanto da perdere coscienza della mia
situazione, del mio vivere giorno per giorno, senza mai un dato sicuro.
Certe volte mi
illudo che la mia condizione possa cambiare da un attimo all’altro, che io riesca
ad agganciare una tizia piena di grana e sistemarmi a dovere. Ma per quanto mi
tenga in allenamento, conosca diverse persone del giro, riesca ad intrufolarmi
tra la gente che conta, alla fine non riesco a concludere niente, se non
rimorchiare qualche ragazza messa peggio di me.
Il mio ruolo
lo porto avanti benissimo, riesco simpatico, in certi casi affascinante,
conosco benissimo le parole chiave di molti argomenti, e so quando usarle. Però
sembra proprio che nessuno, oltre queste serate inefficaci e surreali, mi
conceda un credito minimo che riesca a farmi superare la lucidità del giorno
seguente.
Molte volte ho
pensato di prendere appunti, di scrivere un libro, un pamphlet di memorie per
questi anni trascorsi così, alla ricerca di qualcosa forse di irraggiungibile, che
per gente come son fatto io, forse non arriverà mai. Oggi scrivono tutti,
penso, non ci sarebbe niente di male. Qualcuno magari sarebbe pronto a dire che
se ne sentiva proprio la mancanza di una cosa del genere. Dovrei forse
comprarmi un registratore, e buttar dentro tutte le cose che mi passano dentro
la testa.
Certe sere sono stato in mezzo a qualche
presentazione di libro, scritto magari dalla figlia dell’ingegnere e pubblicato
dall’editore amico della famiglia, ma ho respirato soltanto falsità, anche
maggiore di quella che uno come me riesce a mettere in campo. Però la strada
potrebbe essere buona, una patina culturale mi aprirebbe moltissime porte,
sicuramente sarei visto di buon occhio da moltissime separate piene di soldi in
cerca di qualche tizio da mantenere.
Poi mi muovo,
mi tiro su in piedi, ravvio i capelli e stiro con la mano il colletto della mia
camicia. Non posso continuare così molto tempo, penso con una smorfia sopra la
faccia. Devo trovare la maniera per svoltare la strada, devo scrivere un libro,
ecco, è proprio questa la maniera per uscire da questa situazione impossibile.
Potrei cominciare già adesso, penso ancora, mentre questo insopportabile mal di
testa continua ad aleggiare dentro di me: sul tavolino c’è il retro bianco di
un opuscolo e anche una bella matita. Scrivo: “Immobile, sdraiato su questo
vecchio divano…”, poi mi fermo; nessun imbecille leggerà mai cose del genere,
penso; però non ho altro, tanto vale tentare.
Bruno Magnolfi
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