giovedì 8 settembre 2011

Scriverò un libro per questi quattro imbecilli.

            
Immobile, sdraiato su questo vecchio divano, osservo la luce del giorno che filtra con garbo dalla tenda della grande finestra. Mi sento completamente indolenzito, la mia mano sfiora il tappeto sul pavimento, avverto la pelle sudaticcia e fastidiosa sotto a questa camicia piena di grinze, e un gran mal di testa mi martella le tempie.
C’è stata una festa, rifletto tanto per partire da qualcosa di certo; ho bevuto fino alla nausea, fino quasi a stordirmi, tanto da perdere coscienza della mia situazione, del mio vivere giorno per giorno, senza mai un dato sicuro.
Certe volte mi illudo che la mia condizione possa cambiare da un attimo all’altro, che io riesca ad agganciare una tizia piena di grana e sistemarmi a dovere. Ma per quanto mi tenga in allenamento, conosca diverse persone del giro, riesca ad intrufolarmi tra la gente che conta, alla fine non riesco a concludere niente, se non rimorchiare qualche ragazza messa peggio di me.
Il mio ruolo lo porto avanti benissimo, riesco simpatico, in certi casi affascinante, conosco benissimo le parole chiave di molti argomenti, e so quando usarle. Però sembra proprio che nessuno, oltre queste serate inefficaci e surreali, mi conceda un credito minimo che riesca a farmi superare la lucidità del giorno seguente.
Molte volte ho pensato di prendere appunti, di scrivere un libro, un pamphlet di memorie per questi anni trascorsi così, alla ricerca di qualcosa forse di irraggiungibile, che per gente come son fatto io, forse non arriverà mai. Oggi scrivono tutti, penso, non ci sarebbe niente di male. Qualcuno magari sarebbe pronto a dire che se ne sentiva proprio la mancanza di una cosa del genere. Dovrei forse comprarmi un registratore, e buttar dentro tutte le cose che mi passano dentro la testa. 
  Certe sere sono stato in mezzo a qualche presentazione di libro, scritto magari dalla figlia dell’ingegnere e pubblicato dall’editore amico della famiglia, ma ho respirato soltanto falsità, anche maggiore di quella che uno come me riesce a mettere in campo. Però la strada potrebbe essere buona, una patina culturale mi aprirebbe moltissime porte, sicuramente sarei visto di buon occhio da moltissime separate piene di soldi in cerca di qualche tizio da mantenere.
Poi mi muovo, mi tiro su in piedi, ravvio i capelli e stiro con la mano il colletto della mia camicia. Non posso continuare così molto tempo, penso con una smorfia sopra la faccia. Devo trovare la maniera per svoltare la strada, devo scrivere un libro, ecco, è proprio questa la maniera per uscire da questa situazione impossibile. Potrei cominciare già adesso, penso ancora, mentre questo insopportabile mal di testa continua ad aleggiare dentro di me: sul tavolino c’è il retro bianco di un opuscolo e anche una bella matita. Scrivo: “Immobile, sdraiato su questo vecchio divano…”, poi mi fermo; nessun imbecille leggerà mai cose del genere, penso; però non ho altro, tanto vale tentare.


Bruno Magnolfi 

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