Non
so neppure per quale motivo fossi entrato in quel capannone industriale
dismesso, forse soltanto per curiosità, tanto che quando ero caduto malamente
da una scaletta metallica arrugginita, avevo subito pensato che era quasi
giusto che mi fossi fatto del male, e che era quella la perfetta punizione per
essermi andato ad impicciare di cose che non mi riguardavano affatto. Avevo
provato quasi immediatamente a rimettermi in piedi, nonostante i forti dolori
dappertutto, ma mi ero velocemente reso conto che non ne ero capace. Così ero
rimasto immobile il più a lungo possibile, e quando avevo notato che oramai
iniziava a far buio, una paura sottile aveva iniziato a farsi strada velocemente
dentro di me.
Sentivo
un piede come incastrato in qualcosa sul pavimento, ed una gamba così dolorante
da non permettermi alcun movimento. Sotto alle mani sentivo la polvere e la
sporcizia di anni, e tutta quella situazione mi appariva così assurda che
continuavo a immaginare una soluzione immediata, casuale, qualcosa come aprire
gli occhi all’improvviso e ritrovarmi fuori da lì, tranquillo, sul marciapiede della
strada di casa. Invece, al contrario della mia assurda fiducia, la realtà
pareva delinearsi molto più seria e concreta di ogni mia supposizione, mentre
inesorabilmente continuava a scorrere il tempo, e i rumori delle rare auto in
transito lungo la strada, sembravano giungere da un luogo talmente lontano da
farmi apparire assurdo cercare di richiamare l’attenzione di qualcuno con
qualche stupido grido di aiuto. Continuavo tenacemente a pensare che tutto in
qualche maniera si sarebbe risolto, anche se la mia fiducia sentivo che poco
per volta iniziava a incrinarsi.
Poi
avevo cominciato a cercare di muovermi, pensando ad ogni minuta azione da
compiere come al raggiungimento di un grande traguardo. Mi ero reso conto
velocemente che c’era del sangue sulla mia gamba, ma questo non mi aveva creato
nessun particolare problema aggiuntivo, e anche se con certezza sentivo il mio
corpo fortemente indebolito da quella caduta, cercavo ugualmente di portare a
compimento tutti quei gesti che ritenevo assolutamente fondamentali alla
risoluzione dei miei problemi. Con grande fatica ed impegno ero riuscito alla
fine ad appoggiare un ginocchio per terra, e a sollevare leggermente il busto
sugli avambracci, ma fu proprio allora che mi ero reso conto che quella gamba
ferita non mi avrebbe sorretto in nessuna maniera, e che non ce l’avrei
probabilmente mai fatta a rimettermi in piedi.
Così,
con la poca energia che mi era rimasta, mi ero trascinato, fermandomi a
riprendere fiato ogni due o tre movimenti, sopra la polvere di quel pavimento,
riuscendo ad arrivare vicino ad una parete, cosa questa che mi parve già un
grande successo, mentre sentivo tutto il mio corpo, per quello sforzo
estenuante, ormai quasi esausto. Ero tornato allora a puntare il ginocchio per
terra cercando con le mani un appiglio sulla superficie del muro, riuscendo con
grande sforzo a tirarmi su in piedi, giusto per rendermi conto che non
ricordavo neppure verso dove avrei dovuto dirigermi per ritrovare l’uscita da
quel capannone. Ero perduto, pensavo, era evidente; mi avrebbero ritrovato
ormai cadavere chissà quanto tempo più tardi, forse tra un mese, forse anche di
più.
Fu
allora che mi lasciai andare, ricadendo di fianco sul pavimento, ma fu quasi
nello stesso momento che qualcuno vicino, con una torcia accesa di cui già iniziavo
a vedere le lame di luce, chiese a voce alta dove mi fossi nascosto. Il resto,
avvocato, lei lo conosce meglio di me: la denuncia che è stata spiccata nei
miei confronti, probabilmente era il minimo che potesse essere fatto; del resto
io mi reputo già fortunato nel poter raccontare ciò che è accaduto, il resto,
in fondo, se devo essere del tutto sincero, non mi interessa neppure.
Bruno
Magnolfi
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