Ero
rimasto a lungo seduto nella piccola stazione degli autobus. Sulla panchina ero
da solo, inizialmente, poi si era seduta una signora, infine anche un uomo.
Spesso continuavo a ripetermi che non mi sarebbe dovuto importare niente degli
altri, che dovevo preoccuparmi soltanto di me stesso, eppure le facce delle
persone che vedevo o che incontravo, le loro espressioni, quei modi di muoversi
e di camminare, mi affascinavano, mi facevano venire la voglia di rapire almeno
qualcosa di quelle tante maniere di essere, come se i miei modi fossero del
tutto incompleti, e avessi costantemente bisogno di imparare qualcosa dagli
altri.
Certe
volte osservavo qualcuno e mi pareva che il mondo fosse diverso dentro ai suoi
occhi, poi guardavo specchiata in una vetrina la mia faccia, il mio corpo, e
tutto pareva riprendere la completa normalità. Dovevo cercare di essere
soltanto me stesso, continuavo a ripetermi, ed evitare di cercare somiglianze
con chiunque mi passasse vicino, ma le cose certe volte mi prendevano da sole
la mano, e mi ritrovavo senza neppure rendermene conto nei panni degli altri.
Altre
volte mi fermavo per strada senza neppure sapere il perché, qualcuno magari mi
chiedeva il motivo di quel mio comportamento, ed io con innocenza rispondevo
che non c’era nulla di cui preoccuparsi, andava tutto benissimo, le cose erano
sotto controllo, ma certe volte vedevo che in più d’uno mi guardava con un
certo sospetto, come se le mie parole non corrispondessero perfettamente a ciò
che quegli individui pensavano realmente di me. Allora mi muovevo, camminavo
nella stessa maniera di tutti, salutavo qualche passante, sorridevo persino, e
la realtà scivolava via senza troppi problemi.
Sopra
la panchina nella stazione degli autobus le persone sedute continuavano ad
alternarsi, stavano in attesa per dieci minuti e poi salivano su qualche
corriera, andandosene via, chissà dove, con i loro modi di camminare, di salire
sopra ai gradini dei mezzi, di muovere le mani avanti e indietro per stabilire
un equilibrio sicuro. Tutti avevano, dentro di loro, pensieri inesplicabili, si
lasciavano avvolgere da una realtà che forse riusciva appena a sfiorarli, e
dietro ai loro occhi, mediante quelle idee che riuscivano a scorrere continuamente
dentro alle loro menti allenate, prendevano coscienza di tutto, sviluppavano
pensieri speciali, mostravano completa autonomia dal mondo circostante, al
contrario di me che certe volte non riuscivo neppure a riflettere.
Infine
mi ero alzato anch’io come loro, da quella panchina lucidata dai corpi, avevo
chiesto un’informazione qualsiasi a una persona che mi stava vicino, ed ero poi
salito sulla vettura che mi aveva indicato: forse non importava neppure sapere
con esattezza dove fosse diretto quell’autobus, l’importante era andare,
muoversi velocemente da lì, come prima o dopo facevano tutti coloro che
frequentavano quella stazione. Mi ero guardato attorno un’ultima volta, avevo
visto che qualcuno aveva preso il mio posto e si era seduto: potevo essere io,
pensavo mentre restavo fermo accanto allo sportello; forse no, decidevo alla
fine, sicuramente quella persona aveva molte più idee di quante io, con tutti i
miei studi e i miei tentativi, avrei mai potuto mettere insieme: dovevo
rassegnarmi prima o poi, questo era il punto; non sarei mai riuscito ad essere
una persona qualsiasi.
Bruno
Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento