Avevo
guardato a lungo nello specchio una figura che non ero del tutto riuscito a
riconoscere. Poi mi era venuto da sorridere: forse era uno scherzo ottico,
avevo subito pensato, un abbaglio senza seguito, un elemento sciocco di un
periodo un po’ più complicato di altri, probabilmente un momento in cui avrei
dovuto impegnarmi in misura maggiore per decifrare meglio tutti quei segnali
che normalmente possono giungere. Mi ero seduto al tavolo, avevo lasciato che
scorresse qualche minuto con la testa appoggiata ad una mano, quasi come se
fosse sufficiente starmene fermo a pensare per risolvere le cose, poi ero
tornato ad osservarmi attorno.
Sapevo
che la sedia su cui mi ero seduto, pur essendo la mia preferita, ogni volta che
mi muovevo scricchiolava, e a me dava fastidio quel rumore di legno vecchio,
secco e tarlato, anche se non potevo farci niente. Ero da solo, questo era il
punto, anche se la solitudine mai mi era pesata. Guardavo le cose, i mobili, le
stanze della mia casa, e quasi stentavo a riconoscere tutto, come se una mano
diversa dalla mia avesse deciso dove farmi abitare, come comportarmi, forse addirittura
cosa pensare. Ecco, d’improvviso era come se scoprissi di non essere esattamente
me stesso.
Giravo
dentro la mia casa, osservavo le mie mani, toccavo gli oggetti di ogni giorno,
eppure sapevo che qualcosa era cambiato. Mi affacciai alla finestra per
osservare le persone che camminavano lungo la strada, e qualcuno si volse a
guardarmi, come se avessi qualcosa di strano, qualcosa che incuriosiva quasi
tutti. Tornai allo specchio e vidi una persona che neppure conoscevo. Uscii di
casa, corsi giù per le scale con l’idea di chiedere aiuto, forse anche per cercare
di spiegare a qualcuno quello che mi stava succedendo, ma poi ne ebbi paura e
mi paralizzai una volta sopra al marciapiede. Dopo un attimo iniziai ad
incamminarmi lentamente con il massimo della noncuranza che potevo assumere, e
intanto osservavo le vetrine dei pochi negozi di quella zona per vedere se
riconoscevo la figura specchiata sopra a quelle superfici, e intanto cercavo di
pensare cosa fosse meglio per me, come uscire da quella situazione.
Vidi
qualcuno del quartiere che fino al giorno prima salutavo, ma nessuno di questi
mi riconobbe, neanche uno rivolse un saluto verso di me. Smisi di pensare, mi
concentrai soltanto sui miei passi, e in fretta arrivai al cavalcavia. Le auto
sfrecciavano veloci, sentivo l’aria che muovevano sopra ai miei vestiti e nei
capelli: mi appoggiai al corrimano pedonale e rimasi a guardare per lunghi
minuti quel traffico monotono, costante, dove tutti pareva corressero verso
qualcosa di importante. Mi sentivo perduto, non avevo neppure un posto verso
cui dirigermi, eppure non riuscivo a mettere a fuoco neanche che cosa stessi
perdendo veramente. Quando mi allontanai da lì fu soltanto per tornarmene a
casa: pensavo alla mia sedia scricchiolante, forse l’unica cosa che adesso mi
mancava; mi sarei seduto, pensavo, mi sarei comportato proprio come ogni
giorno, e ogni mia difficoltà sarebbe scomparsa, se ci pensavo a fondo era
così, all’improvviso ne ero certo, non c’era proprio alcun bisogno che mi
lasciassi prendere dal panico.
Bruno
Magnolfi
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