venerdì 25 novembre 2011

A fianco di Chiunque (ripresa cinematografica n.8).

            
            L’immagine appare estremamente rallentata. L’automobile passa oltre, seguendo una debole curva che va a stringere poco più avanti. Penso non ci sia niente di male nel fare questo sogno in modo ricorrente, così certe volte ci rifletto sopra, anche mentre sto facendo altre cose, e in questa maniera cerco di capire cosa possa succedere in seguito, dove riesca a portare questa strada asfaltata in cui io resto fermo ad osservare continuamente la medesima sequenza, nell’attesa, certe volte spasmodica, che accada qualcosa di diverso, o che io trovi un proseguo, uno sbocco, o una qualsiasi conclusione.
            L’auto supera me, poi continua con regolarità la sua corsa: c’è qualcuno alla guida del mezzo, ma è soltanto un’ombra pressoché indefinita, un certo signor Chiunque forse disinteressato degli altri: la sua concentrazione sta nella guida, nel disegno esatto che le ruote della macchina riescono a compiere sopra l’asfalto stradale. Non riesco a immaginare il compimento della parabola, neppure ciò che accada oltre la curva disegnata dalla vettura, però studio quel breve percorso, lo traccio ancora mille volte nei miei pensieri, attendo con pazienza infinita che una piccola variabile intervenga improvvisa a dare compimento al sogno e a giustificarne finalmente quel senso.
            Giro a piedi per il mio quartiere, incontro persone di cui so qualcosa, o che potrei comunque conoscere, mi soffermo a immaginarne i pensieri, i dubbi, le preoccupazioni, ma di tutta quella gente alla fine non riesco comprendere altro, niente che possa essermi utile, comunque niente che risolva in qualche maniera gli interrogativi sottili che permangono nella mia mente. Poi vado avanti, mi fermo lungo la strada e attendo con pazienza che il mio sogno si faccia avanti, si sovrapponga a quella realtà, e che l’ombra nera alla guida del mezzo stringa la sua debole curva a velocità rallentata e costante, proseguendo con linearità, senza intoppi, e senza che io possa minimamente intervenire sul suo percorso.
            A volte penso che tutta la sfida finale delle mie cose avvenga tra me e quell’autista: osservo la sua guida rilassata, quasi beffarda, la lentezza con la quale mi supera, si allarga lungo la sua carreggiata, per poi rientrare accostandosi al margine della strada diritta, come fosse la cosa più normale del mondo. Forse si solleva un blando vapore laggiù in fondo, come a mostrare che tutto è sotto controllo, che l’aria calda della serata spinge verso il tramonto del sole, verso il rinnovamento continuo della realtà.
            L’auto prosegue imperterrita nel superarmi, sfugge quasi dal mio campo visivo, i fotogrammi rallentati non riescono a definirne la velocità, che forse è elevata, oltre qualsiasi prudenza: esplode qualcosa laggiù, si interrompe un contorno di oggetti contro quel cielo al tramonto, l’ombra nera alla guida va a fondersi contro qualcosa che sfugge al controllo di qualsiasi ulteriore pensiero, poi tutto sfuma nell’aria, come uno sgranamento nella pellicola.


            Bruno Magnolfi 

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