martedì 8 novembre 2011

la coscienza della solidarietà.

            
            Il silenzio, la solitudine e l’immobilismo, sono le tre condizioni principali per sentirsi in pace con tutti e con se stessi. In genere, lui si piazza seduto ad un caffè che si apre lungo il marciapiede del viale, e che tiene le sedie all’aperto e gli ombrelloni allargati anche nei giorni invernali. Lui trascorre in quel luogo quasi ogni mattina, si gira con piacere la sciarpa sopra al collo nel sole autunnale, e lascia che il traffico della città gli scorra vicino, come se non lo riguardasse, quasi con indifferenza. 
            Sta fermo a quel tavolino per un’ora, certe volte anche di più, sorseggia del tè caldo con una calma infinita, e scrive qualcosa sopra i fogli di un’agendina tascabile, fingendo impegni che forse dimentica appena un momento dopo, subito dopo che se li è appuntati. Forse si sente un cittadino modello, forse pensa che tutti prima o poi debbano invidiare quella sua libertà, in quella stessa maniera come lui riesce a sentirla e a provarla, e forse pensa che sono in pochi, alla fine, che riescono a vivere così, fuori da ogni schema, forse liberi, almeno in quella semplice apparenza.
            Invece un mattino gli si presenta una persona, lo guarda in faccia un attimo, gli spiega senza mezze parole che oramai non c’è più tempo per cose di quel genere, quelle in cui lui, quasi senza rendersene conto, si sta perdendo, giorno dopo giorno; e che le possibilità ormai andate sprecate non ritorneranno ulteriormente, in nessun caso. Gli dice che deve avere maggiore coscienza delle tante cose ormai gettate alle ortiche definitivamente, e soprattutto che adesso è doveroso per lui trovare un elemento di diversità da quella tristezza, da quella sorta di incapacità, da quel comportamento forse creduto congenito nella sua persona, almeno fino adesso, ma probabilmente soltanto per convenienza, soltanto per quel credersi, in maniera senz’altro profondamente errata, un cittadino normale, forse anche migliore di altri, e in qualche modo utile a qualcosa.
            Sembrano discorsi da squilibrati, pensa lui, avrebbe quasi voglia di rispondergli in modo sgarbato, senza tanti complimenti, ma poi riflette che forse qualcosa di vero c’è in quelle parole, e che forse si è troppo appiattito, e chissà probabilmente da quanto tempo, nel compiere sempre le medesime attività. Così resta in silenzio, quasi turbato, lascia che l’altro gli spieghi ancora qualcosa, e infine si alza, paga al cameriere la sua consumazione, e segue senza remore quella persona, ormai deciso a capire dov’è che può avere sbagliato, e soprattutto come potrà in futuro cambiare il percorso della sua vita.     
            Gli viene indicata la direzione del viale verso dove le auto proseguono a transitare come sempre hanno fatto, e lui osserva quell’andare continuo, quasi insensato; lascia che quell’immagine gli si imprima negli occhi, poi si gira e per la prima volta comprende che non deve fare più ciò che gli torna spontaneo, naturale, come un individuo disinteressato di tutto. Deve impegnarsi, reagire, magari anche con un inevitabile sforzo, in ciò che c’è di più giusto, di più utile agli altri, perché è quella l’unica strada, l’unica possibilità che ha per sentirsi davvero diverso e migliore; e non ce ne può essere un’altra.


            Bruno Magnolfi 

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