La
febbre, accompagnata da un corollario di altri malesseri fastidiosissimi, mi
aveva colpito all’improvviso in quella cittadina portuale a me completamente
estranea e sconosciuta, costringendomi ad arrestare, almeno temporaneamente,
quel lungo viaggio a cui cercavo di dar corso. Nella pensione dove avevo preso
alloggio, la prima sera che ero giunto in quel luogo dopo due giorni di treno,
una signora molto riservata mi aveva consegnato quanto mi serviva per passare la
notte, compresa una cena leggera al piano terra dello stesso edificio,
chiedendomi soltanto i dati dei miei documenti. Mi ero coricato portando nella
mia stanza una tazza di una calda tisana, già avvertendo dentro di me la
malattia che saliva, ed avevo sperato che tutto, con una buona dormita, sarebbe
presto ritornato alla normalità.
Fuori
dalla mia finestra, invece, l’alba seguente si era mostrata con un’aria
lattiginosa e poco invitante, e le voci e i rumori nelle strade vicine mi
avevano fatto sentire più solo e straniero di quanto lo fossi davvero. Tutti
più tardi si erano mostrati gentili, per primo il medico accorso al mio
capezzale, e anche se non comprendevo perfettamente la loro lingua, ugualmente
dalle loro parole capivo lo sforzo per darmi conforto e alleviare i dolori. In
un mare piatto e nebbioso, la mia nave aveva fatto sentire lungamente la sirena
con la quale annunciava la sua partenza, ed io, con uno sforzo notevole, ero a
malapena riuscito ad accostarmi alla finestra della pensione, giusto per vedere
la bianca scia di vapore che lasciava sortire dai suoi camini, mentre con
lentezza andava a prendere il largo.
La
signora della pensione durante quel giorno era tornata molte volte ad
informarsi sulle mie condizioni di salute, e fu premurosa e solerte
nell’indurmi ad assumere le medicine prescritte e nel farmi preparare pasti
adeguati, che mi tenessero in forze. Infine, dopo un numero imprecisato di
giorni, iniziai a stare meglio. La mia nave non sarebbe tornata prima della
settimana seguente, così, iniziando poco per volta ad uscire da quella
pensione, almeno per brevi passeggiate, mi incuriosii di quel luogo, così
particolare e incantevole.
In fondo ad
una stradina nei pressi del porto, si apriva un locale alla buona, dove vecchi
marinai passavano il tempo davanti a una birra. Andai lì per qualche serata,
trovandomi perfettamente a mio agio ad ascoltare le storie di mare che tutti
amavano raccontarmi. La signora della pensione continuava con le sue gentilezze
nei miei confronti, ed io le presi un regalo importante per cercare di
sdebitarmi del daffare che le avevo recato. Quando arrivò il momento di salire
sulla mia nave, il dispiacere che provai nel lasciare quel luogo, fu quasi pari
al senso di forzato che assumeva quel mio andarmene via: così, salutai tutti,
ma con le lacrime agli occhi, e partii davvero, proprio come avevo previsto, ma
non riuscii a dimenticare quel posto affacciato sul mare, e fu tanto prepotente
quel mio pensiero, che al ritorno dal mio viaggio ripassai di nuovo da lì, trovando
tutto esattamente come quando l’avevo lasciato, scoprendo che c’era persino chi
aveva atteso con impazienza quel mio ritorno.
Bruno
Magnolfi
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