Qualche
tempo fa mi ero seduto ad un tavolo libero di un ristorante. Non avevo molto
appetito, a dire il vero, però mi sembrava un preciso dovere quello di
prendermi cura del mio organismo, e quindi cibarlo, fargli sentire quel senso
di sazietà che a volte riempie quasi per intero tutta una giornata ordinaria.
Non avevo mai messo piede dentro quel bel locale, se non parecchio tempo più
addietro, però mi trovavo casualmente a passeggiare proprio lungo quella strada,
e questo era stato il motivo che mi aveva spinto là dentro più di qualsiasi
altra cosa: non tanto la curiosità, osservare le sale, gli arredi, e i menu,
soprattutto; quanto la certezza di non essere riconosciuto da nessuno, né dai camerieri,
e neppure da qualche barboso cliente.
Un
uomo, su un lato dell’ampia sala, seduto su un alto seggiolino, suonava
melodiosamente la sua chitarra, intrattenendo piacevolmente i tanti
frequentatori del luogo, e molti di loro per questo se ne stavano quasi in
silenzio, e se avevano qualcosa da dire ai commensali, lo facevano sottovoce,
per non disturbare l’arte di quel musicista. Tutto appariva celebrato con
garbo, il personale si muoveva tra i tavoli con grande professionalità, gli
avventori cercavano di far tintinnare il meno possibile le loro posate su
porcellane e bicchieri.
Avevo
notato una donna, quasi di fronte al mio tavolo, elegante nel portamento e nei
modi, voltata appena di tre quarti nei miei confronti, ed appena mi ero seduto,
quella aveva gettato un’occhiata proprio verso di me, appena per un attimo, a
dire la verità, per poi andare a chiudere immediatamente le palpebre, e tornare
subito dopo ad interessarsi soltanto del suo tavolo e delle altre due persone
che erano sedute con lei. Mi pareva interessante la sua figura, ma non potevo
certo insistere ad osservare ciò che faceva e soprattutto verso dove volgesse
lo sguardo, così con immediatezza mi ero interessato soltanto del mio pranzo e
di nient’altro.
Mentre
gustavo con calma ciò che mi era stato servito dal cameriere, sentivo poco a
poco la musica dare perfetto coronamento a quel cibo squisito che avevo
ordinato, tanto da trasportare ogni mio pensiero verso altri luoghi, fino a
lasciarmi rivedere dentro la mente, come esempio di altrettanta grande armonia,
alcune verdi e ondulate colline nei
pressi del mare, dove mi ero dovuto recare per ragioni di lavoro soltanto poche
settimane più indietro. Il chitarrista aveva iniziato a cantare qualche vecchia
canzone della tradizione italiana, e le sue parole mi avevano portato in giro
per tutta la penisola, come se l’immaginazione avesse bisogno soltanto di un
piccolo invito per poter allargare le ali.
Il
mio pranzo proseguiva così nella maniera migliore, e le portate si dimostravano
tutte all’altezza di un ottimo locale, tanto da invogliarmi nel futuro a
tornare altre volte e più spesso in quella strada e in quel luogo. Il
chitarrista, poi, aveva terminato tra applausi scroscianti la sua esecuzione,
ma non per questo il comportamento di tutti, e le loro conversazioni tra i tavoli,
avevano variato di tono o adoprato maniere diverse: il clima rimaneva disteso,
la tranquillità sembrava perfetta regina di tutta la sala.
Tornai
ad osservare di nuovo la signora che avevo di fronte, ma soltanto per
accorgermi che, aiutata alle spalle, si era alzata da tavola, lasciando il
ristorante insieme alle persone con cui si era accompagnata. Mi dispiaceva non
averla osservata di più durante quel pranzo: adesso che la vedevo in tutta la
sua persona mi pareva ancora più interessante di quando stava seduta, e così,
quasi per riparare, ne ammiravo adesso il vestito, i gioielli, l’acconciatura dei
lunghi capelli nero corvino. Ma quando era passata vicino al mio tavolo in
direzione del cameriere che le stava aprendo la porta: arrivederci, mi disse,
con un largo sorriso, lasciandomi assolutamente di sasso.
Bruno
Magnolfi