Certe
volte, improvvisamente, penso che tutto sia inutile. Osservo, seduto, il piano
del tavolo che rimane di fronte, e sento in me come una febbre che distorce gli
oggetti attraverso i miei occhi, fino a farli apparire comuni, familiari, gli
stessi di sempre, forse soltanto offuscati da una patina di umido presente
sotto le palpebre, forse vicini a me in un senso pratico, ma di fatto del tutto
estranei al modo di essere che ho appena deciso di assumere da ora in avanti.
Non trovo più alcun interesse nell’osservazione del tavolo e degli oggetti che
ci stazionano sopra, penso, ho bisogno di vuoto, di assenza, di un nulla che
adesso è oltraggiato da queste immobili cose.
Ho
tutto il diritto di rendermi conto, alla fine dei miei pensieri, che il
comportamento che ho tenuto per anni sia senza scopo, ed è quasi un
avvertimento quello che mi sento di dare, e probabilmente mi piacerebbe che
almeno in questa stanza si giungesse a tenere conto di queste deduzioni
precise. Allontano con la mano il bicchiere con due dita di acqua che mi è
stato sistemato vicino, poi sento alle mie spalle che è entrata, socchiudendo come
sempre con lentezza la porta, mia sorella Rosina, a rendersi conto che io stia
ancora bene, che non abbia bisogno di niente e altre cose del genere. Vai via,
penso in silenzio, e intanto bofonchio qualcosa come se la mia meditazione mi
avesse trasportato in una dimensione diversa.
Vuoi
che ti sistemi un cuscino dietro la schiena?, sembra chiedere lei con quelle
maniere sempre troppo dedite agli altri per non apparire del tutto
insopportabili. Non dico niente, neppure tento di girarmi verso Rosina, non c’è
alcun bisogno che io la veda per sentirmi certo della sua presenza, del suo
modo di tenermi perennemente sott’occhio. Il nulla, penso, ho soltanto bisogno
del nulla. Lei si avvicina, osserva i miei oggetti di sempre sparsi sul piano
del tavolo, e li riordina, come se una disposizione diversa ne cambiasse il
significato. Poi esce.
Questo
è esattamente il senso di inutilità di ogni sforzo che compio. E’ come se ogni
volta che cercassi di uscire da una vecchia maniera di essere, per spingermi a
trovare una dimensione migliore, un modo più giusto per comprendere questa
realtà, tutto improvvisamente tornasse a riprendere le antiche fattezze, come
non esistesse mai un oltre, ma soltanto un tentativo, perennemente sconfitto.
Torna Rosina, porta una tazza di tè, come ogni sera a quest’ora. Ecco, dice con
morbida voce, adesso scotta, la metto sul tavolo, tra un attimo torno per
aiutarti, rilassati solo un momento, non aver fretta. Torna il silenzio dentro
la stanza.
Mi
viene voglia di toccarmi col dito la punta del naso; c’è un’essenza di qualcosa
che esala nell’aria, penso, mi piacerebbe poterla descrivere, ma è un compito
ingrato, e poi ho deciso di non dare più alcuna importanza agli oggetti e alle
cose che vedo e che sento. Torna Rosina, prende la tazza, soffia sul tè, poi me
lo avvicina alla bocca. Lascio fare, sono soltanto normali consuetudini, penso.
Infine va via con la tazza e col resto. Il tè mi ha scaldato, improvvisamente
mi sembra di stare meglio. Se soltanto potessi muovermi da questa sedia a
rotelle, muovere almeno le mani, liberarmi di questi stupidi oggetti che ho
perennemente davanti ai miei occhi mi sentirei un’altra persona, rifletto; ma
forse non ha neppure una grande importanza: se proseguo la concentrazione su
questi pensieri riuscirò a modificare quanto ormai ho deciso, ne sono sicuro. E
‘ soltanto una questione di tempo, penso, il mio nuovo modo di essere porterà
grandi vantaggi, e non ci sarà più neppure bisogno di ricordarsi com’era stato
una volta.
Bruno
Magnolfi
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