Mi
sento immerso in una situazione che non mi appartiene, eppure non ne soffro,
credo anzi di poter sopportare a lungo tutta questa angoscia sottile che provo
nel guardare gli altri, ascoltando perfino quelle risapute giustificazioni di
chi si è adattato benissimo a tutto, e spesso sente anche il dovere di spiegare
i suoi meravigliosi successi, il suo vivere bene, assolutamente integrato.
Incontro ogni giorno persone così, hanno smesso quasi tutte ormai di
nascondersi, adesso vagano in lungo e in largo quasi ridendo di tutti, ma
quando incontrano qualcuno come me, pieno di rancori, senza alcun aggancio per
mettersi davvero in carreggiata, cercano di stare apparentemente dalla sua
stessa parte, fino però a farlo sentire, ad un certo punto, fuori da ogni
logica, sbagliato, uno che non ha proprio capito come sia davvero starsene al
mondo. Spargo quasi sempre indifferenza nei confronti di persone come queste,
eppure sento forte da sempre un moto profondo di competizione verso di loro,
quasi questo fosse un elemento fortemente radicato nella mia natura.
Certe
volte entro in un caffè per alleggerire questi miei pensieri, mi lascio servire
una birra, anche più d’una, in certi casi, e resto lì, come in un angolo
neutrale della realtà, dove certe logiche, almeno per quella mezz’ora o poco di
più, sembrano non avere valore. E’ qui che ho incontrato quella ragazza,
Francesca, un tipo di donna non bella, forse però interessante, leggermente
maschile nei modi, come di chi, a furia di stare sulla difensiva, è riuscito a
indurirsi, a corazzarsi con una pelle più spessa di qualsiasi avversità.
Inutile
leccarsi le ferite, le ho detto; e lei ha annuito. Forse sono una ragazza
facile, ha spiegato, ma non mi concedo del tutto: trattengo tanto per me, anche
se in fondo non ho molto da perdere, e questo mio modo di pormi ritengo per me
sia una grande fortuna. Così siamo usciti da dentro al locale, abbiamo
camminato insieme lungo le strade di sempre, cercando di avere degli occhi
almeno un po’ differenti per osservare tutto ciò che già conoscevamo ampiamente.
Ci siamo baciati con un certo stupore, come fosse una meravigliosa scoperta,
oppure fingendo di avere ancora le capacità per sentirsi vicini, dallo stesso
lato del mondo, migliori di tanti, anche se di quest’ultima cosa, a dire il
vero, non abbiamo neppure saputo spiegarci il perché.
Sono
trascorsi in questa maniera dei giorni, delle settimane, persino un paio di
mesi, e le cose si sono complicate un poco per volta: vecchi problemi
individuali mai risolti hanno messo in seria difficoltà la mia amicizia con
Francesca, e la sua verso di me; il suo modo particolare di guardarmi mi ha
fatto sentire sempre di più fuori dal mondo, come ancorato solo a delle
pretese. Non abbiamo legami, le ho dovuto dire ad un tratto. E’ vero, ha
risposto lei: ma se ci perdiamo adesso, non ci ritroveremo mai più.
Così
abbiamo provato un brivido comune, e allora ci siamo stretti, e abbiamo cercato
in qualche maniera di superare quel momento negativo, perdendo in questo modo quel
coraggio che ci faceva sentire diversi. Forse, proprio da quel momento, abbiamo
iniziato a sentirci una coppia qualsiasi. Forse le nostre personalità non sono
state capaci di quella coerenza che tanto ci premeva. Forse le cose si sono
mostrate maggiormente ordinarie, risapute, quasi dozzinali. Ma in fondo che
importa, abbiamo pensato: dobbiamo essere noi, persino quando sguazziamo in
mezzo ai difetti.
Bruno
Magnolfi
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