Sono
sempre più convinto che voi abbiate tutti torto, penso, che non valga neppure
la pena di stare ad ascoltare le vostre parole, le spiegazioni insensate che
riuscite a mettere assieme. Osservo la strada che scorre sotto alla mia
terrazza, e mi viene da ridere nel vedervi piccoli, sempre di corsa mentre vi
muovete avanti e indietro alla ricerca di chissà che cosa. Rifletto sulle
parole che ho appena ascoltato alla radio, mi sembrano solo tentativi falliti
di spiegazione della realtà, e mi sento sempre più lontano dalle vostre idee,
convinto della mia differenza di impostazione. Mi sono permesso uno strappo in
avanti, penso, questo è il punto, adesso tutto il resto, anche voi, rimane
semplicemente dietro di me.
Poi
mi siedo, appoggio una mano sul piano dello scrittoio, sposto alcuni libri, dei
fogli, le mie penne per scrivere: non riuscirò a fare niente neppure stasera,
penso, ma l’impianto di tutto quello che voglio dire ce l’ho, pervade ogni
pensiero che mi passa dentro la testa, riesce a riempirla di significati, di
senso, come una brezza improvvisa che gonfia le vele delle barche rimaste
piantate fino ad ora nella bonaccia, durante la regata estiva sul lago.
Di
getto prendo un foglio, una matita, scrivo: forse potrei insegnare a qualcuno
le mia esperienza, la mia maniera di vedere le cose; non perché abbia
particolare importanza, ma soltanto perché in questa maniera voi forse
riuscireste ad essere diversi da me, a scansare quegli ostacoli che non sono
riuscito mai a togliere dal mio cammino, con i quali molto spesso ho dovuto perfino
fare dei conti.
Torno
a spostare i libri da una parte all’altra del tavolo, a sistemare in un ordine diverso
tutte le mie matite, mettere la sedia più accanto a questo scrittoio, e a
schiarirmi la voce. Forse potrei dire cosa ho immaginato fin dall’inizio di
questa faccenda, penso, così torno a scrivere: sembra strano, ma sono sicuro di
non ricordare perfettamente tutto quanto, perché sono sicuro che la memoria
poco per volta addolcisca le cose, le faccia diventare migliori, più familiari,
in un modo tale che tutto ciò che succede, in una maniera o nell’altra, riesce dopo
un po’ ad assumere un senso compiuto.
Poi
torno ad alzarmi e ad uscire sopra al terrazzo. Un vento leggero sembra spiri dal
gruppo di case di fronte, quasi che la natura si stia adattando poco per volta
alle invenzioni degli uomini, al loro ingegno, ai pensieri che hanno, e così
torno a guardare la strada che adesso pare quasi un fiume di gente che si muove
sopra l’asfalto. Il mio malessere è forte, penso, quasi quanto la mia distanza
da tutto; sarà difficile riuscire a descrivere questo, tanto vale gettare via
la carta su cui stanno scritti i miei appunti, queste poche parole, e restare
sopra al terrazzo ad immaginare le barche che bordeggiano lente tra i
marciapiedi e i palazzi, e guadagnano il largo, spinte da questo inusuale profumo
di vento.
Bruno
Magnolfi
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