lunedì 12 novembre 2012

Visite in ospedale.


            
            Gyorgy sta assolutamente immobile nella sua posizione, anche se sa che stasera non è stato legato al suo letto come in genere capita. Sente il tepore del suo stesso corpo, e questo basta a rassicurarlo, forse non ci sarà alcuna necessità di farsi del male, pensa, come è successo in altre occasioni. Tra poco probabilmente il suo amico sarà qui, come sempre, a soffiargli parole incomprensibili dentro le orecchie, a ridere di lui, a tormentarlo e farlo innervosire semplicemente con la sua insopportabile presenza. Intanto però lui può pensare, prepararsi ad affrontarlo, elencare dentro di sé le tante cose da dirgli, da urlargli contro appena sarà in questa stanza, una volta giunto, come quasi tutte le sere, fino a quando qualcuno non gli farà la sua solita iniezione.
            Questo letto è duro, scomodo, pensa Gyorgy, ma tutto quanto non ha alcuna importanza: comunque resto fermo, pensa, indifferente a questa situazione di attesa, però pronto ad affrontare il mio amico. Lo pensano tutti che è meglio diffidare di chi dice che fa qualcosa per te, per il tuo bene, per favorirti; sono soltanto menzogne, non esiste un amico che lo sia per davvero, sono soltanto della gentaglia che finge di avere una natura altruista solo per ridere, per prendere in giro.
            Forse dovrei muovermi, pensa ancora Gyorgy, ma se non lo faccio è soltanto per non mostrare di sapere che stasera non sono stato legato al mio letto. E poi qualcosa sembra apparire in fondo alla stanza. E’ il mio amico che viene, pensa Gyorgy con profonda certezza, anche se con una sicura apprensione. Ma presto si accorge, al contrario di sempre, che stasera sono due gli amici arrivati da lui, sono ben due che si apprestano a dirgli le cose di sempre e a tormentarlo.
            Si avvicinano, parlano tra loro sottovoce come fingendo di ignorarlo o di non accorgersi affatto di lui; o di essere lì soltanto per caso, non rispondendo ad un disegno preciso, e fare in modo che Gyorgy si agiti ancora di più, in risposta a quella incertezza, che si innervosisca, che inizi ad urlare contro di loro e che alla fine proprio per questo venga di nuovo legato al suo letto fino a ricevere la solita iniezione. Ora basta però, questo è troppo, pensa Gyorgy già a voce alta. Sono un professore, un insegnante di filosofia, ci vuole del rispetto per persone come son io. 
            Stavolta però i due amici lo guardano, hanno un’espressione curiosa, restano forse colpiti dalle parole che ha pronunciato. Mi pare ci sia qualcosa che accada senza che si riesca a capire cosa mai possa essere. I due amici si guardano tra loro, uno si allontana, l’altro si accosta maggiormente al mio letto: dice qualcosa, mi soffia le parole dentro le orecchie, l’altro lo guarda, ad una distanza direi di sicurezza. Sono legato, penso come per loro, non posso muovermi. Eppure se alzo un braccio riesco a vedere la mano davanti ai miei occhi; faccio la stessa cosa con l’altro. I miei legami stasera sono diversi, penso, di altra natura. Solleva il busto, Gyorgy, guarda con severità i due amici, e loro si allontanano di un passo, poi di due, infine se ne vanno.
            Preferisco la solitudine, pensa ancora Gyorgy mentre resta seduto, immobile nella posizione che è riuscito a raggiungere, piuttosto che confrontarmi con delle persone impossibili, che non hanno niente di serio da dire, se non prendere in giro, provocarmi, farmi urlare cose sconclusionate contro di loro. Stasera è una buona serata, pensa; i miei legami sono deboli, questo letto mi sostiene, forse non avrò ancora bisogno di urlare per fronteggiare quegli individui.

            Bruno Magnolfi 

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